Proprio in un momento in cui il Paese sembrerebbe avere bisogno di conoscere attraverso quali riforme rilevanti il Governo sarebbe intenzionato a favorire un percorso costante di crescita per contrastare la precarietà, i salari bassi, la pressione fiscale e il caro-vita, la politica sembra ancora una volta cedere alla tentazione di ricorrere allo slogan propagandistico nel tentativo di massimizzare un consenso che, probabilmente, anche a prescindere dagli esiti delle recenti amministrative, comincia a mostrare i primi segnali di cedimento.

Si fa presto, allora, a parlare di “reato universale”, e si fa presto a parlarne con riferimento alle pratiche relative alle ipotesi di maternità surrogata, la quale, a ben considerare, è già da tempo vietata in Italia dall’articolo 12, comma 6, della Legge n. 40 del 2004 che, espressamente, quanto inequivocabilmente, condanna la realizzazione, la pubblicizzazione e la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità attraverso la irrogazione di pene severissime. 

Intendiamoci: il punto è di carattere squisitamente giuridico oltre e prima ancora che politico. Soprattutto laddove si considerino anche solamente le condizioni di (in) esistenza di presupposti utili, quanto necessari, a perseguire il risultato. E tanto più allorquando, altri ordinamenti, consentano, invece, il ricorso alla maternità surrogata rendendo di fatto una pura e semplice utopia la pretesa di estendere a quei territori altri la potestà punitiva penale italiana. Insomma: se è vero, come è vero, che financo l’articolo 7 del nostro Codice Penale contempla talune ipotesi delittuose riconducendole ad un principio di universalità, ossia contemplandone la punibilità a prescindere dal luogo del commesso delitto e/o dal soggetto agente, tuttavia, è altrettanto vero, non solo che debba trattarsi di reati talmente gravi ed efferati da esigerne la punibilità tout court, ma anche che siano riconosciuti ovunque come tali. Se così non fosse, come sarebbe possibile risolvere l’eventuale contrasto tra legislazioni concorrenti? Come potremmo pretendere di imporre la potestà punitiva dello Stato Italiano aliunde, in contesti altri che magari, non considerano la maternità surrogata parimenti perseguibile? Detto altrimenti, la proposta Meloni vorrebbe perseguire l’obiettivo di punire l’italiano che commetta il reato all’estero, ossia in un Paese ove, evidentemente, il ricorso a siffatta pratica, sarebbe legale. Ma ci troviamo dinanzi ad un crimine contro l’umanità? Esiste un benché minimo principio di condivisione della comunità internazionale nella sua interezza? Come si può pretendere di sanzionare comportamenti che, a titolo esemplificativo, parrebbero consentiti in Paesi come la Ucraina e il Canada?

La questione, dunque, parrebbe porsi su un piano più semplicemente politico, e probabilmente sarà destinata a restare allo stato di potenza senza mai divenire atto pratico stante la difficoltà non solo ideologica, ma ancor prima procedurale inerente la possibilità di far assurgere la cosiddetta surrogazione di maternità a reato universale, ossia considerato tale anche se commesso al di fuori della sfera di sovranità territoriale italiana. Intanto, perché gli Stati possono unicamente esercitare la propria giurisdizione sul territorio nazionale e, solo in taluni specifici casi, ossia in forza di particolari disposizioni normative, anche nei confronti dei cittadini che abbiano compiuto reati all’estero e/o di stranieri che, dovunque si trovino, abbiano commesso un reato contro un cittadino dello Stato.

Quindi, perché nonostante la cosiddetta giurisdizione universale esista, e in taluni casi determinati, riconosciuti erga omnes, sia costantemente applicata, la stessa, tuttavia, si fonda sul riconoscimento della pregnanza transazionale, appunto universale, di determinati gravi reati. Infine, perché solo ricorrendo determinate circostanze, tutti gli Stati hanno il preciso dovere giuridico di porre in essere ogni azione utile a garantire che tali norme siano rispettate e le loro eventuali violazioni siano parimenti e conseguentemente perseguite. Il Governo Meloni, in buona sostanza, vorrebbe punire con la pena prevista e contemplata dalla normativa italiana, chiunque, in qualsiasi forma, realizzi, organizzi o pubblicizzi la commercializzazione di gameti o la surrogazione di maternità, anche se lo fa all’estero, senza probabilmente considerare, se tale condotta sia o meno regolamentata e/o legittimata dalla legge straniera. E senza in alcun modo chiarire se, comunque, la punibilità sia limitata soltanto ai cittadini italiani.

Dicendolo altrimenti, la proposta in questione vorrebbe rappresentare un’eccezione al principio di territorialità, come disciplinato dall’art. 6 del codice penale, secondo il quale, la legge italiana è applicabile nel territorio dello stato allorquando un’azione o un’omissione sia avvenuta nello stesso suo territorio. Ma non si tratterebbe solamente di questo: al di là dell’utilizzo mediatico di concetti che toccherebbero le coscienze e l’intimo di ogni essere umano, il quale, in ipotesi quale quella in discussione, dovrebbe essere lasciato libero di autodeterminarsi, non si può non considerare una ulteriore circostanza, che, lungi dal potersi considerare di scarso rilievo, parrebbe porsi, come di fatto si pone, addirittura come preliminare: che definizione offre il Governo Meloni del concetto di “maternità surrogata”? Quale consistenza sostanziale dovrebbe avere la tipologia delittuosa in considerazione?

In realtà, al di là della roboante enunciazione sanzionatoria, nulla la proposta Meloni parrebbe riferire in merito alla consistenza della condotta penalmente rilevante che, continuando a restare indeterminata sul piano definitorio, rende l’ipotesi ab origine difficilmente perseguibile, ed, in quanto tale, non punibile per non essere fornita, la definizione specifica della surrogazione di maternità. Ed ancora: come si concilia siffatta proposta con il principio della doppia incriminazione? Se è vero, come è vero, che una determinata condotta punita dalla legge italiana sarebbe perseguibile anche all’estero, a condizione che la stessa sia punita anche ai sensi della legge straniera, in che modo, la potestà punitiva della legge italiana, potrebbe ritenersi operante in tutti quei paesi dove la gestazione per altri viene costantemente praticata, e dove, addirittura, viene spesso anche espressamente regolamentata e disciplinata dalla legge locale? Esistono, dunque, le condizioni per legittimare, nel caso specifico, un intervento repressivo del legislatore che vada oltre i confini nazionali?

Al di là della opinione che ciascuno può avere in relazione al ricorso ad una pratica di tal fatta, di certo, non si può pretendere di interpretare il diritto penale in chiave puramente etica attraverso il richiamo all’universalità quale valore fondante in un contesto ideologico che unanime, a livello transnazionale, non pare proprio essere.

Giuseppina Di Salvatore – Avvocato, Nuoro

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