L’autonomia differenziata alla prova della costituzionalità
Sarebbe invece utile colmare il divario già esistente tra i contesti territoriali del nord del Paese e quelli del sud e delle Isole?Alessandra Todde, presidente della Regione Sardegna, dopo la seduta di Giunta del 31 luglio scorso, ha annunciato l’approvazione quanto più prossima di una Delibera (già discussa nel corso della medesima seduta) inerente la scelta di un «team di esperti che lavorerà sul ricorso alla Consulta contro la legge Calderoli» che, unitamente «all’avvocatura», sarà di sostegno «in questo percorso».
Nell’enunciare le ragioni di siffatta decisione, e nel lanciare «un appello ai cittadini, sardi compresi, che vivono nelle Regioni del nord», ha voluto precisare che la legge contestata «mina alla coesione nazionale e a lungo termine non paga» siccome «vuole mettere da parte le Regioni più povere».
Michele Cossa dei Riformatori ha dichiarato che «la legge Calderoli complica l’attuazione del principio di insularità», avanzando, nel contempo, un interrogativo che sembrerebbe meritare, come in effetti merita, la dovuta attenzione: «Quale autonomia differenziata vuol fare lo Stato per le Regioni più ricche del Paese, se prima non affronta il tema del ritardo di sviluppo causato dalla condizione di insularità?». Ebbene. Le preoccupazioni enunciate dai politici sardi possono essere condivise e la strada del ricorso avanti la Corte Costituzionale sembra porsi come doverosa. Del resto, le motivazioni a sostegno dell’intendimento ridetto sono tutt’altro che prive di fondamento, non foss’altro per il fatto che la Riforma Calderoli, all’atto pratico della sua attuazione, andrebbe ad incidere sulla quotidianità degli italiani tutti, tanto di quelli che vivano nelle Regioni del Nord, quanto di quelli che vivano nelle Regioni del Sud e delle Isole Maggiori, siccome l’enunciato dell’articolo 5 della Costituzione espressamente chiarisce che “la Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali”.
Dicendolo altrimenti, in quest’ottica, sembra assai difficile, poter conciliare, sul piano finalistico, le ragioni di quello che, in attuazione della Riforma Calderoli per l’appunto, si tradurrebbe in un decentramento, con le ragioni della solidarietà e della coesione sociale. Specie allorquando sarebbe invece utile colmare il divario già esistente tra i contesti territoriali del nord del Paese e i contesti territoriali del sud e delle isole, i quali ultimi, invero, richiederebbero invece interventi immediati diretti a colmare i ritardi esistenti nello sviluppo delle stesse, tanto sul piano sanitario, quanto su quello economico e del trasporto pubblico. Peraltro, come da più parti sottolineato, la legge Calderoli andrebbe ad incidere proprio sulla ripartizione della potestà legislativa tra Stato e Regioni per come oggi la stessa si presenta, andandola in qualche maniera a diversificare.
Le ragioni della esistenza della potestà esclusiva dello Stato in talune materie andrebbero ricercate nell’esigenza di garantire una regolamentazione, per così dire, uniforme per determinate materie, a sua volta giustificata dalla necessità di evitare qualsivoglia potenziale violazione del principio di uguaglianza tra tutti i cittadini enunciato dall’articolo 3 della nostra Costituzione. Principio, quest’ultimo, che avrebbe dovuto e dovrebbe suggerire ogni più attenta riflessione sul rischio di frammentazione sul piano gestionale ed amministrativo del Paese in tanti contesti territoriali, quante sono le esistenti realtà regionali, le quali potrebbero trovarsi per così dire indebolite in una visione complessiva del Paese.
Vero è che il Paese, esaminato nelle sue molteplici articolazioni territoriali, si presenta con caratteristiche proprie e peculiari tanto sul piano culturale, quanto su quello geografico. Ma siffatte caratteristiche andrebbero pur sempre valorizzate finalizzandole al miglioramento delle comunità di riferimento per il raggiungimento di livelli di uniformità che garantiscano la piena affermazione del principio di coesione e solidarietà socio-economica. L’esistenza stessa di Regioni a Statuto Speciale venne a suo tempo concepita in una cornice normativa che muoveva pur sempre dal principio irrinunciabile dell’unitarietà della Repubblica Italiana. E siffatta unitarietà sembra a tutt’oggi doversi preservare.
Giuseppina Di Salvatore
(Avvocato – Nuoro)