Se Polexit sarà, e io non ci credo visti e considerati gli oneri pecuniari restitutori cui il Paese sarebbe tenuto, ce lo racconterà il tempo. Ma chi ci dice che, invece, non sia proprio l’Unione Europea a dover assistere impotente ad un progressivo processo di sgretolamento interno idoneo a rimetterne in discussione le finalità fondanti prima ancora che l’esistenza?

Di sicuro, il primo durissimo colpo all’intangibilità del primato dei suoi Trattati Istitutivi è stato inferto con la solita tattica subdola dell’esasperazione del conflitto, e ancora si ha difficoltà nel comprendere quali conseguenze pratiche recherà con sé sul piano politico-istituzionale. Probabilmente, nonostante il gran polverone sollevato, nessuna, ma mai dire mai. La Corte Suprema Polacca, per intenderci, ha infatti respinto il primato del diritto comunitario sulla legislazione nazionale, sostenendo, e affermando, che alcuni articoli del Trattato UE sarebbero incompatibili con la Costituzione nazionale e che, pertanto, il diritto polacco avrebbe la supremazia sul diritto europeo. Se sia stato il solito attacco senza esiti alla Democrazia perpetrato dalle solite destre sovraniste, oppure di un atto sovversivo, del primo vero atto sovversivo dell’Ordine pre-costituito, in fondo poco importa nel momento in cui resti circoscritto ad un membro, quale la Polonia, che verosimilmente, proprio dall’exit, nulla avrebbe da guadagnare in termini economici e sociali, ponendosi in una posizione di isolamento “condizionato” che lo porterebbe all’insignificanza.

Tuttavia, la portata di quella sentenza è tutt’altro che giuridica siccome travolge, con la forza dirompente del suo enunciato, le relazioni già critiche tra Varsavia e Bruxelles. Intanto, perché Morawiecki, nel mese di marzo, aveva provveduto al deposito di un ricorso avverso una decisione della Corte di Giustizia che aveva espresso plurime obiezioni sul metodo di nomina dei giudici nel Consiglio Nazionale della Magistratura Polacca, sostenendo che Bruxelles non avrebbe avuto, né avrebbe, il diritto di interferire con i sistemi giudiziari degli Stati Membri. Quindi, perché la sentenza della Corte Suprema Polacca, quasi cancellando con un proverbiale “colpo di spugna” il disposto degli articoli 1 e 19 del Trattato sull’Unione, ha sorprendentemente posto un argine deciso al principio di cosiddetta “integrazione rafforzata” dei paesi membri e al principio di supremazia del diritto comunitario su quello nazionale interno. Infine, perché, in fondo, “chi è causa del suo mal, non può che poi piangere se stesso”, e l’Unione in questo senso ha la responsabilità piena della degenerazione degli eventi per non essere mai intervenuta con decisione sull’operato politico dell’Ungheria e della stessa Polonia che da diverso tempo operano indisturbate nel senso dell’erosione progressiva dello Stato di Diritto forti dell’appartenenza del primo, dell’Ungheria si intenda, al Partito Popolare Europeo il quale, dal canto suo, aveva bisogno di Fidesz per attestarsi quale primo gruppo in Europa senza minimamente prendere in considerazione le conseguenze di quella adesione compromissoria. Tanto più allorquando non si possa prescindere da taluni principi fondanti: quello per cui la sovranità degli Stati Membri non sia assoluta siccome limitata dalla condivisione di sovranità a livello europeo, mediante l’appartenenza all’Unione, attuata attraverso la adesione volontaria ai Trattati Istitutivi; e ancor di più quello per cui e in forza del quale, nell’ipotesi specifica, l’Unione si guardi bene dal procedere nel senso della modifica dei Trattati solo per subordinare l’ordinamento giuridico europeo a quello nazionale polacco, il cui Parlamento, verosimilmente, pare aver subito attraverso quella infausta sentenza un gravissimo pregiudizio proprio per aver caldeggiato una propaganda propositiva anti-europeista senza seguiti politici concreti di consistenza secessionistica.

La circostanza è a dir poco paradossale se non addirittura risibile sul piano squisitamente tattico-politico. Intendiamoci però. È innegabile che, nel corso degli anni, siano stati assai numerosi gli episodi di cosiddetto “sovranismo nazionalista” più o meno dichiarato: tuttavia, quegli stessi episodi hanno sempre trovato il loro argine nell’affermazione di una sovranità europea fatta valere a più voci da quanti, soprattutto francesi e tedeschi, avevano, e hanno, un interesse e un potere maggiore all’interno del complesso unionale. In un sistema siffatto, anche il ruolo dell’Italia, tradizionalmente euro-convinta, è rimasto tuttavia avvolto da un velo di ambiguità, specie allorquando si voglia prendere in considerazione la “resistenza sovranista” dell’asse di governo giallo-verde in relazione alle vicende legate al Meccanismo Europeo di Stabilità, ossia a quel fondo intergovernativo creato a salvaguardia della solvibilità degli Stati.

L’interrogativo, dunque, che pare affacciarsi alle porte d’Europa è uno e uno soltanto variamente articolato: quanto può essere pericolosa la mina del sovranismo nelle sue varie declinazioni? Si tratta di un ostacolo solo per l’Unione Europea e per ciò che essa rappresenta, oppure si tratta di una tentazione pregiudizievole pure per una Italia che pare non voler trovare, a tutt’oggi, un punto di equilibrio interno utile a gestire con consapevolezza ed autorità anche i rapporti internazionali con l’esterno? Europa degli Stati, come gridava De Gaulle, oppure Europa Federale? La parabola politica sovranista ha raggiunto il suo apice, oppure si avvia alla sua estinzione programmata malgrado il colpo di coda della Corte Polacca? Si tratta di interrogativi a risposta multipla, e le previsioni future sono figlie della “costruzione” in atto all’interno di una Europa che dopo la Merkel ha necessità di rinvenire un nuovo e autorevole leader portante.

Tuttavia, per quanto concerne la nostra Italia, le previsioni sembrerebbero tutt’altro che rosee nonostante le garanzie offerte da Mario Draghi, e nonostante la fedeltà tutto sommato manifestata all’ideale e all’impegno europeista, giacché continua a perdurare costante nel tempo il rammarico per la scarsissima influenza esercitata finora nel processo di integrazione e nei rapporti con le istituzioni e con i maggiori partner europei. L’Italia, detto altrimenti, continua a rivestire un cosiddetto ruolo “stampella”, utile a integrare il “peso politico” di Francia e Germania, ma privo di autonomia specifica propria. Ed è proprio in tale contesto che il sovranismo ha potuto rinvenire le sue radici per affermarsi quale risposta decisa e decisiva, perlomeno negli intenti, all’insignificanza politica italiana nel contesto internazionale. Ma a chi giova davvero questa risposta di reazione? Non certo al nostro bel Paese che, al pari della Polonia, in caso di exit avrebbe tutto da perdere vista e considerata financo l’instabilità politica interna che non può certamente essere superata da un mero e occasionale Governo di Unità Nazionale che tutto vorrebbe promettere ma nulla è in grado di garantire. L’Europa, in quanto tale e nonostante il fronte sovranista, continuerà a sopravvivere a se stessa per non avere altra scelta altrettanto vantaggiosa, mentre l’Italia, dal canto suo, parrebbe destinata, allo stato, a restare relegata ai margini, formalmente assumendo il ruolo specifico di periferia del complesso unionale, perlomeno fino a quando continueranno ad insistere, al suo interno, movimenti sovranisti potenzialmente sovversivi dell’Ordine Costituito.

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato – Nuoro)

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