Sebbene la centralità e le criticità dei fenomeni migratori si siano certamente affievolite con l'uscita dal Palazzo del Viminale del Capitano Padano, che vi aveva puntato i riflettori esacerbandone i contenuti e ne aveva fatto un vero e proprio cavallo di battaglia della sua incessante propaganda politica, tuttavia, adesso, ossia nel momento meno opportuno di emergenza da Covid – 19, complice l’arrivo della bella stagione, il problema si è ripresentato in tutta la sua complessità ponendo non pochi interrogativi di carattere squisitamente funzionale, gestionale e strategico.

A prescindere dalla posizione ideologica di ciascuno di noi sul tema, non si può dire che l’Italia sia rimasta a guardare, giacchè con un decreto del 7 aprile ultimo scorso, a firma dei Ministri Lamorgese, Di Maio, Speranza e De Micheli, si è provveduto, per un verso, a stabilire che “i porti italiani non (sarebbero stati in grado di assicurare la persistenza dei) necessari requisiti per la classificazione e definizione di Place of Safety, in virtù di quanto previsto dalla Convenzione di Amburgo, sulla ricerca ed il salvataggio marittimo”, per altro verso, (si è provveduto) a circoscrivere la valenza della ridetta disposizione (ed è questo l’aspetto interessante dell’intero provvedimento) ai soli “casi di soccorso effettuati da unità navali battenti bandiera straniera al di fuori dell’area sar italiana”, mentre, per altro verso ancora, (si è provveduto) a precisare che le medesime disposizioni avrebbero prodotto il loro effetto esclusivamente “per l’intero periodo di durata dell’emergenza sanitaria nazionale derivante dalla diffusione del virus covid -19”, e pertanto, dal momento della “data di adozione” del decreto fino al 31/07/2020 come da specifica deliberazione del Consiglio dei Ministri dello scorso 31 gennaio.

Eppure, nonostante l’atteggiamento di estrema cautela che la gestione dell’emergenza pandemica impone, gli interrogativi su questa rivisitata gestione degli sbarchi, a mio personale parere, si moltiplicano e si fanno sempre più pressanti in considerazione della rilevanza dei diritti coinvolti e, quanto meno in parte, travolti. E’ giusto, sotto il profilo giuridico e morale, operare una siffatta compressione della salvaguardia dei diritti umani in nome del diritto fondamentale e sempre sacro santo alla salute? Siffatta decisione, considerata la circoscrizione della valenza del provvedimento ai soli casi di soccorso effettuati da unità navali battenti bandiera straniera al di fuori dell’area sar italiana, nasconde in realtà un preciso significato politico, oppure, invece, può ritenersi semplicemente frutto dell’ingenuità redazionale dei suoi sottoscrittori? Ed ancora, se il presupposto del provvedimento è da individuarsi nella sola persistenza della condizione emergenziale pandemica, quindi globale ed indiscussa, non appare contraddittorio circoscrivere la valenza del provvedimento ai soli casi di soccorso effettuati da unità navali battenti bandiera straniera al di fuori dell’area sar italiana, quasi a significare la sola impossibilità di contenimento dei contagi potenzialmente provenienti da quelle imbarcazioni ma non da altre, ossia da quelle di soccorso migranti battenti bandiera italiana in tutto e per tutto legittimate allo sbarco senza preclusione alcuna?

Come sempre le risposte ai vari interrogativi sono complesse. Intanto, perché, se è vero, come è vero, che il meccanismo del bilanciamento tra i vari interessi coinvolti nel processo decisionale (quello alla salute e quello all’accoglienza), stante pure la complessità del tema in discorso ed il groviglio di norme di carattere interno ed internazionale che lo caratterizzano, non sempre sfocia in decisioni coerenti e soprattutto utili sotto il profilo giuridico ed etico, tuttavia, è altrettanto vero che le motivazioni poste a fondamento del decreto, ossia l’esigenza di non appesantire ulteriormente la situazione già critica del nostro servizio sanitario e l’impossibilità di poter assicurare la disponibilità di luoghi sicuri di accoglienza, riescono ad esprimere la sola amara consapevolezza del Governo dei limiti stringenti dell’intero apparato statale a cui non resta altro da fare, nell’incertezza, se non tentare di chiudersi al prossimo nel tentativo estremo di non implodere.

Quindi, perché, questa incomprensibile posizione assunta dal Governo attraverso i suoi Ministri, potrebbe in realtà nascondere, all’esito della dichiarazione di intenti di Malta dello scorso dicembre, un maldestro tentativo di imporre, per via traversa, agli altri Paesi Europei, il tanto agognato ricollocamento automatico dei migranti recuperati lungo la rotta del Mediterraneo centrale che la politica dei porti chiusi del Senatore di Pontida, aveva in principio compromesso.

Inoltre, perché lo stesso decreto, che sembra apparire, ictu oculi, come gravemente distorsivo, sia delle reali potenzialità, sul piano internazionale, delle capacità interventistiche umanitarie della Penisola, sia, sul piano interno, delle norme poste a tutela dei fondamentali diritti umani, lascia inspiegabilmente aperto uno spiraglio pericoloso (e direi immotivatamente nella logica generale di un provvedimento che ha voluto qualificare l’Italia alla stregua di una minaccia per la salute dei migranti) a favore di quanti, positivi al virus e non, partendo dalle coste libiche, riescano a raggiungere le acque territoriali italiane e quindi a ricevere assistenza e soccorso. Infine, perché il decreto, chiaramente formulato in termini derogatori parziali, appare gravemente strumentale rispetto ad esigenze di politica interna difficilmente giustificabili sul piano umanitario non solo per l’impossibilità di offrire una chiara definizione di porto sicuro, ma anche per aver ritenuto tali i porti italiani solo per le imbarcazioni battenti il tricolore.

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato - Nuoro)
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