Nei giorni scorsi, il Partito Democratico, per bocca del suo segretario Enrico Letta, ha più volte esercitato il proprio potenziale espressivo nell’invitare gli eventuali elettori, o più semplicemente i suoi diretti e probabili simpatizzanti, all’espressione del cosiddetto “voto utile”, tanto “generico” sul piano linguistico, quanto “illusorio” sul piano fenomenico di riferimento, rappresentato, invero, da una base elettorale evanescente quanto i salotti parigini di sua immediata provenienza. Per farla breve: un invito “radical chic” dall’insanabile e viziosa ambiguità concettuale.

Ma, a ben volerci riflettere, il sintagma “voto utile” cosa vuole significare? Cosa sta chiedendo davvero Enrico Letta? Esiste forse un voto “inutiliter datur”? E quale sarebbe?

Ebbene. Il piano del confronto parrebbe proprio essere quello dei “Misteri della Fede”: un piano mistico e radicale inevitabilmente. Pur tuttavia, e forse più probabilmente, il Segretario del Partito Democratico potrebbe voler invocare il “miracolo” siccome, a voler diversamente riflettere, e a voler restare aderenti al significato dell’espressione nel linguaggio cosiddetto del “politichese” (nel contesto del quale quell’infelice sintagma, nel rinvenire la propria matrice all’interno di un sistema elettorale di tipo maggioritario, quindi assai differente rispetto a quello attuale, starebbe a significare il “voto” dato al candidato che si ritiene vincente piuttosto che a quello più gradito), si potrebbe pure essere indotti a ritenere che, in fondo in fondo, Enrico Letta, stia indirettamente esortando gli elettori ad esprimersi a favore della sua “rivale amatissima” (cit.) Giorgia Meloni, leader indiscussa ed indiscutibile di Fratelli d’Italia, la quale, stando ai sondaggi maggiormente accreditati, sembrerebbe attestarsi ai massimi storici.

Sicuramente, e sarebbe ozioso pensarlo seriamente, non parrebbe essere questo l’obiettivo del “poco sereno” ed aristocratico Enrico, ma anche a voler andare oltre i termini di un ragionamento tutto sommato elementare, la natura ontologica della questione che si intenderebbe prospettare al Popolo dei Votanti, e soprattutto al Partito crescente dell’Astensione, alimentandone le motivazioni, sembrerebbe apparire all’orizzonte in maniera piuttosto preoccupante. Cosa significa realmente quell’invito? Cosa si nasconde dietro quella esortazione apparentemente innocua, per non voler proprio dire “ingenua” sul piano della immediata percezione pratica, ma assai condizionante sul piano squisitamente subliminale? E non potrebbe essere neppure diversamente, siccome quel richiamo al “voto utile”, caso mai non si fosse compreso, e diversamente da quanto si sarebbe indotti a ritenere, lungi dall’essere rivolto alla generalità dei votanti, sembrerebbe essere piuttosto riferito direttamente all’indirizzo del tradizionale elettore di centro-sinistra contro il pericolo imminente (o meglio presentato come tale) del ritorno di un “fascismo (stavolta) in gonnella”, secondo uno schematismo figurativo non solo inesistente  sul piano naturalistico per l’evidente estemporaneità della circostanza, ma addirittura fortemente anti-democratico e discriminatorio per essere rivolto all’immagine in sé e per sé considerata della Donna al Potere.

Intendiamoci allora una volta per tutte: l’invito al “voto utile” senza se e senza ma sembrerebbe biasimevole almeno tanto quanto l’invito al Popolo di Maria Antonietta d’ Asburgo-Lorena a mangiare “brioche” se non aveva più “pane”. E sembrerebbe parimenti persino completamente sbagliato sul piano strettamente concettuale, dal momento che lo stesso avrebbe un senso all’interno di logiche unicamente “bi-polaristiche”, ma non all’interno di un quadro, quale quello attuale, ove il confronto si articola su ben quattro poli (Cdx, Csx, Terzo Polo e M5S).

Nell’assenza di identità Politiche fortemente rappresentative, ci troviamo dinanzi ad un incontrollabile pericolo democratico che tutti lamentano ma a cui nessuno parrebbe voler porre rimedio trovando più comodo ed opportuno lasciarsi cullare dall’illusione di un’alternanza di governo alimentata dall’esasperazione sistemica di maxi-coalizioni esistenti e distinte solo nella nomenclatura ma, tutto sommato, troppo identiche nei fini per avere sufficiente “vis attractiva”.

Il vero problema che dovrebbe decidersi ad affrontare Enrico Letta, se davvero volesse essere riconosciuto quale Leader indiscusso ed accattivante di una Sinistra non più Sinistra, è piuttosto quello di recuperare il consenso di quella larga fascia di cittadini decisi a non esprimerlo proprio il proprio voto, siccome devastati dal disagio sociale divenuto, negli anni, la vera punta dell’iceberg sulla quale i vari Titanic (partiti) del contesto governativo si sono ripetutamente infranti rovinosamente.

Se la gran parte degli italiani sopravvive in condizioni di povertà estrema, se i lavoratori non possono godere di salari dignitosi o peggio ancora di stabilità lavorativa risultando costantemente vittime senza tutela del precariato imperante, se i pensionati non possono avvalersi di pensioni utili a garantire a sé stessi la autosufficienza financo alimentare, a cosa è servita fino ad oggi la politica e l’insieme dei suoi e delle sue rappresentanti? Dalla fine della Prima Repubblica ad oggi quale sarebbe stata, più in generale, la utilità del voto espresso da tutti coloro che decidevano di riporre la propria fiducia in questo o in quell’altro partito? Questo, invero, è l’interrogativo principale a cui, qualche coraggioso, se ancora ve ne siano, dovrebbe degnarsi di rispondere con senso di umiltà ed abnegazione.  A prescindere dagli esiti, che ad oggi sembrerebbero addirittura scontati, ad essere veramente certo è che il prossimo 25 settembre potrebbe essere uno spartiacque determinante una vera e propria inversione di rotta rispetto a prassi e “costumi” che fino ad oggi hanno condizionato negativamente il percorso di crescita democratica, come pure l’efficacia funzionale dell’azione di governo.

A volerla dire tutta, la progressiva perdita di identità della sinistra italiana è l’unica condizione determinante della svolta a destra, alla destra estrema, della politica italiana e non è certo il richiamo accorato al “voto utile” che potrà invertire la tendenza.

Se un governo a trazione Meloni sarà utile, lo scopriremo nei prossimi mesi. Il problema è che gli attori sono sempre gli stessi ed è mancato il ricambio di una classe dirigente fallimentare nel suo complesso che, nel voler ancora imporre sé stessa al potere, continua a voler persistere nell’errore. Questo è l’unico vero problema. L’unico nodo di cui probabilmente avremmo voluto fare a meno.

Giuseppina Di Salvatore – Avvocato, Nuoro

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