Nei giorni scorsi la Commissione Sanità, con sei voti favorevoli, quattro contrari, e l’astensione motivata del Riformatore Michele Cossa, ha dato il via libera definitivo alla riforma, l’ennesima, volta a ripristinare, nel territorio regionale sardo, ben otto Asl dotate di personalità giuridica: Sulcis Iglesiente, Ogliastra, Medio Campidano, Cagliari, Sassari, Nuoro, Oristano e Gallura. E se Christian Solinas, per un verso, dall’alto della sua “anonima” e silenziosa presidenza, parla astrattamente, nel suo solito “politichese”, di “una riforma profonda, meditata, studiata per garantire ai Sardi una sanità più utile e più vicina” giacchè “l’attuale sistema (avrebbe) allontanato i cittadini dalla sanità pubblica, percepita come una macchina confusa, arretrata, ritardataria nelle risposte”, e se, per altro verso, il contestatissimo assessore regionale alla Sanità Mario Nieddu, si è fatto lecito di affermare che “il modello Ats non (avrebbe) raggiunto gli obiettivi prefissati”, per altro verso ancora, lo stesso sopra menzionato Michele Cossa, infrangendo bruscamente l’idillio arcadico dei propri Colleghi, ha voluto insistere più concretamente, invece, tra le altre spinose questioni distribuite sul tappeto del confronto, sulla necessità di “un incontro di maggioranza per approfondire, sul piano tecnico, una serie di aspetti” concernenti, in particolare, il non chiaro “rapporto tra Ares e le (ridette istituende) otto Asl, considerato che non (sarebbe) sufficientemente chiara la ripartizione dei compiti”. Al popolo sardo, purtroppo, unico reale destinatario di decisioni per davvero calate dall’alto, sembra non restare altro che “fare spallucce” di fronte a quello che, allo stato, appare come il solito e sterile tentativo, da parte delle varie “Comparsine” politiche del momento, di dimostrare, e nemmeno con troppa chiarezza, che qualche cosa è stata fatta, ossia di offrire dimostrazione, detto altrimenti, di una (inesistente) capacità di intervento finalizzante del Potere al solo fine di catturare l’attenzione dei sistemi di comunicazione mediante l’annuncio di un mero cambiamento strutturale comunque del tutto incerto sul piano della effettiva riuscita concreta. Ebbene: che sussista, e sia impellente, l’esigenza di ridisegnare l’intero sistema della sanità pubblica in Sardegna, e che questa stessa sanità debba caratterizzarsi per essere un diritto incontrovertibile della popolazione interessata, alcuna questione può porsi se non sul piano delle forme.

E pertanto, traducendo la questione in soldoni – mi domando - questa futuribile riforma, è davvero utile a garantire un più compiuto funzionamento del sistema sanitario sardo, oppure rappresenta la solita e pasticciata “moltiplicazione dei pani e dei pesci” operata in assenza ed al di là di ogni accurata riflessione sulla portata reale del cambiamento, sulle ragioni stesse del riordino, nonché sulla necessità di efficientare le limitate risorse disponibili in una situazione, quale quella contingente, in cui la gravissima crisi finanziaria, concorre a rendere più acuta la carenza di potenzialità strutturali e basilari da investire nello sviluppo dei servizi e di strutture alternative territoriali nonchè nella modernizzazione dell’assistenza sanitaria? Esiste, o meglio, ha mai trovato espressione, oppure no, il sacrosanto diritto alla salute dei cittadini sardi recentemente ulteriormente compromesso anche dall’emergenza pandemica? Questa riforma può davvero costituire un punto di svolta, oppure semplicemente esprime il ritorno ad una decotta prospettiva ospedalocentrica oramai superata a livello nazionale e, quindi, regionale peninsulare siccome trascendente l’esigenza di potenziare i servizi nelle varie aree territoriali in ragione delle specifiche esigenze di ciascuna? Gli interrogativi e le perplessità sono davvero tanti e, dal mio personale punto di vista, le risposte non possono prescindere dal riconoscimento di talune circostanze di base, quali, da un lato, il perdurare di un divario incolmabile, sul piano economico, con le più fortunate, e probabilmente meglio amministrate, regioni del Centro Nord, meno portate allo spreco delle risorse disponibili e managerialmente meglio organizzate, dall’altro, la contemporanea presenza di livelli di disoccupazione tali da aver raggiunto dimensioni non solo preoccupanti ma addirittura incontrollabili, e dall’altro lato ancora, l’esistenza di un devastante indice di povertà accompagnato e/o addirittura cagionato dal graduale processo di spopolamento delle zone interne sempre più abbandonate a stesse e pertanto sempre più incapaci di costituire un motore di crescita economica per l’intera Regione e, di conseguenza, di assicurare l’efficienza nel funzionamento dei servizi, sanitario compreso, che quand’anche comunque presente, ne riuscirebbe mortificato per l’assenza di risorse sufficienti a garantirne la corretta ed utile funzionalità. Intanto, perché, per tornare agli interrogativi iniziali, non si può razionalmente pretendere di risolvere la questione sanitaria unicamente riconducendola ad un inutile dato numerico e prescindendo totalmente dalla considerazione che in Sardegna, uno dei grandi problemi, è sempre stato rappresentato dal potenziale isolamento delle strutture ospedaliere periferiche spesso prive di professionalità adeguate e quindi, seppure presenti, comunque incapaci di assicurare al cittadino il diritto alla salute quale diritto costituzionalmente garantito. Quindi, perché, di conseguenza, l’ “efficientamento” del sistema sanitario sardo, checchè se ne dica, non può prescindere anche da un contestuale rafforzamento del sistema dei trasporti interni che assicuri la stabile e comoda percorrenza dell’intero territorio, nonché da un immediato intervento di riqualificazione delle zone interne e disagiate che sia non solo attento e conforme alla tutela delle caratteristiche paesaggistiche dei luoghi, ma anche finalizzato alla valorizzazione delle attività agro-pastorali, siccome utili a favorire l’esaltazione dell’ambiente nelle zone montane nonché a favorire il turismo, e quindi, la sicura circolazione di denaro, attraverso la presentazione e la vendita dei diversi prodotti tipici locali suscettibili di importanti riconoscimenti qualitativi. Infine, perché, onde evitare che queste moltiplicate Asl si trasformino in vere e proprie Cattedrali nel Deserto fonte di costi e/o, peggio ancora, in “poltronifici a lungo termine”, si dovrà vigilare sull’effettiva efficienza dei loro amministratori, giacchè la sanità, laddove appunto utilmente amministrata, può ben porsi come apparato idoneo ad esprimersi quale settore foriero di servizi essenziali e, proprio per questo, quale settore direttamente e positivamente incidente sul piano della connessione e della tenuta socio-territoriale.

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato - Nuoro)
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