Maurizio Lupi è moderato fin dalla “ditta” della sua lista elettorale, ma se c’è una cosa che gli suscita reazioni meno flemmatiche è la retorica sull’agenda Draghi: «Ma basta, quella era un’esperienza particolare, ora ci candidiamo a governare l’Italia col centrodestra», chiarisce l’ex ministro, leader di Noi moderati (appunto), che raggruppa Noi con l’Italia, dello stesso Lupi, Italia al centro di Giovanni Toti e Coraggio Italia di Luigi Brugnaro. Chi pensa che siano loro la quinta colonna del terzo polo per favorire il ritorno del premier uscente, è fuori strada: «Se a Palazzo Chigi andrà Giorgia Meloni – ribadisce lui – per noi nessun problema».

Lupi, voi sarete moderati, ma i toni che prevalgono in questa campagna elettorale lo sono molto meno.

«Si continua a non capire che i cittadini chiedono concretezza e serietà, non la rissa continua o promesse fantasmagoriche. Ci chiedono di confrontarci, anche con vigore, per spiegare le nostre proposte per l’Italia dei prossimi cinque anni. I voti non si prendono descrivendo l’avversario come il male assoluto. Invece sento toni da catastrofe».

Allude a chi vede in un eventuale governo Meloni un pericolo per la democrazia?

«Esatto, addirittura detto da chi continua a tirare per la giacca Mario Draghi. Draghi al Meeting di Rimini ha detto con chiarezza due cose: anzitutto, andiamo a votare, perché l’esercizio del voto è la massima espressione di democrazia. E poi che, proprio per questo, qualunque governo uscirà dal voto degli italiani sarà forte e autorevole».

Non sta stretto in un’alleanza a trazione FdI-Lega?

«Il centrodestra è la nostra collocazione da 30 anni, sono quelli i nostri valori: lo Stato al servizio dei cittadini, le libertà, l’impresa come valore sociale, e poi scuola, istruzione, famiglia. In questi anni si sono persi milioni di elettori moderati: ricordo che nel 2008 il Pdl fu votato da 14 milioni di cittadini, il 39,8%. Da allora si è spostato a destra l’asse».

E come si riporta al centro?

«Gli elettori hanno sempre ragione: il punto è fare proposte credibili al punto che i cittadini ritornino a far sì che il pilastro del centrodestra sia il pilastro moderato. Poi noi governiamo da sempre con Meloni e Salvini, non è un problema; tra l’altro FdI ha mostrato grande attenzione per i moderati nella composizione dei collegi uninominali».

Di recente ha detto che date fastidio anche nel centrodestra. Cosa intendeva?

«Che è scorretto semplificare, come se nel centrodestra ci fossero solo tre offerte politiche. Noi siamo la quarta: più piccola? Lo decideranno gli elettori. Mi sembra che FdI, la prima volta che si presentò alle urne, prese l’1,8%. E comunque è nostro dovere dare delle priorità alla coalizione».

Ne indichi una su tutte.

«Se nel breve bisogna reagire alla crisi energetica e all'inflazione, in prospettiva il Paese deve ripartire da natalità e scuola. Si prevede che nel 2050 un italiano su tre sarà anziano: vogliamo parlarne? E se l’istruzione non funziona, aumentano le disuguaglianze. Noi pensiamo ai giovani».

Questo lo dicono tutti.

«Ma si vede che tra i giovani non ci stanno mai. Riducono la questione al fatto di andare su TikTok, oppure dare il voto ai sedicenni o una dote ai diciottenni. Io incontro ogni giorno tantissimi ragazzi e non chiedono di votare a 16 anni, ma di poter avere una scuola alleata col mondo del lavoro. E poi che si valorizzi il merito, che uno stage non sia gratuito o uno sfruttamento».

Col terzo polo avreste vari punti di contatto, o no?

«Come con altri partiti. Però ci sono anche tanti punti di distanza e una storia politica molto diversa. Sento Calenda dire cose da brividi, tipo che da giovane si è fatto le canne, ora le vuole sanzionare, però solo se se ne abusa… Ma insomma, sei per la liberalizzazione della cannabis o contro? Non si può dire “Ni” per ammiccare da una parte e dall’altra».

Però non è strano che voi, dopo aver sostenuto Draghi, siate pronti a sostenere come premier Giorgia Meloni, la sua unica oppositrice?

«Vede, Draghi era il frutto di una nobiltà della politica, un compromesso temporaneo tra forze distanti. Anche l’opposizione ha dato un contributo. Ma basta col mito dell’agenda Draghi: non può essere l’agenda di ognuno di noi. Per dire: per me il reddito di cittadinanza non è fondamentale».

Quindi lei un ritorno di Draghi lo esclude del tutto?

«Io dico che agli elettori ci si propone con la propria faccia e identità. Il cosiddetto terzo polo dice: votateci non perché vogliamo governare, ma perché così non si governa. L’ingovernabilità come programma politico! Noi avanziamo proposte precise. Purtroppo lo sport preferito dai centristi è frammentarsi, io invece ho unito l’esperienza di Giovanni Toti in Liguria, di Brugnaro che è stato giudicato il miglior sindaco d’Italia, dell’Udc...»

Il vostro simbolo è emblematico. Però per la grafica è stato molto criticato…

«Potrà essere brutto, ma rende l’idea che ci si unisca non per fare un cartello elettorale, ma per restituire valore a una tradizione che serve per governare il Paese. Sono convinto che il centrodestra vincerà le elezioni: chi vuole dare forza al moderatismo, lo fa scegliendo Noi Moderati».

Citava il caro energia: in attesa del nuovo governo, cosa può fare quello uscente?

«La parola chiave è: subito. Chi pensa di aspettare il 20 ottobre per intervenire è fuori di testa, ci ritroveremmo valanghe di lavoratori a casa o in cassa integrazione. Non è un problema solo delle aziende energivore: l’altro giorno ero a Sassuolo, nel distretto della ceramica l’incidenza del costo dell’energia è salita dal 20% al 70. Un panettiere in Brianza mi ha detto che tra un mese chiude, perché la bolletta è passata da 3mila euro a 12mila. Qualcuno non ha capito che questa crisi è più grave di quella provocata dal Covid».

Intervenire subito: come?

«Con ristori immediati, come nella prima fase Covid. E una moratoria sui mutui, come quando c’è una catastrofe. Perché adesso famiglie e imprese si trovano a dover scegliere se pagare la rata o la bolletta».

Con quali risorse si può fare? Anche lo scostamento di bilancio, ossia il deficit?

«Con la direttiva Von der Leyen, si possono usare subito i fondi strutturali a disposizione delle regioni e dello Stato. Se questo non bastasse, è evidente che bisognerà lavorare sullo scostamento».

Sarebbe favorevole a un ritorno al nucleare?

«Veda lei: al referendum del 2011 facemmo campagna per il nucleare, per non ripetere una scelta basata sull’emotività e che ci ha penalizzato. È tra le fonti rinnovabili, siamo fuori dal tempo se non ci pensiamo. Certo, è un progetto a lungo termine. Ma se non guardiamo al futuro, resteremo sempre dipendenti da qualcuno».

Vi riconoscete anche nella proposta del presidenzialismo, su cui insiste FdI?

«L’abbiamo sottoscritta nel programma comune. Mi fa molto piacere che Giorgia Meloni parli di una Bicamerale, perché le riforme bisogna tentare di farle insieme. Ci sono grandi democrazie occidentali che col presidenzialismo non sono certo passate al fascismo o alla dittatura, pensi agli Stati Uniti o la Francia. Certo, servirà il giusto contrappeso parlamentare. Io credo che la prima parte della Costituzione, sui valori fondativi, non si debba toccare; ma nel 2022 le istituzioni non possono funzionare come 70 anni fa».

Per ora l’unica riforma è stato il taglio dei parlamentari.

«Beh, io sono stato tra i 14 deputati che votarono contro. Quasi tutti del mio gruppo, tanto che feci io la dichiarazione di voto. Ora tutti a pentirsi col senno di poi».

Qual è il vostro obiettivo percentuale minimo?

«La sfida è quella del 3%, che ci consentirebbe di eleggere parlamentari non solo nei 17 collegi uninominali avuti dalla coalizione. Perciò puntiamo su candidati collegati ai territori: anche in Sardegna, dove abbiamo fatto un lavoro bellissimo e il capolista alla Camera è un ottimo consigliere regionale, Stefano Tunis. Schieriamo ovunque persone con esperienza nelle Regioni e nei Comuni, che sanno amministrare. Perché ci candidiamo a governare, e a governare bene».

Giuseppe Meloni

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