In occasione del Convegno dei Giovani Imprenditori di Confindustria, Giuseppe Conte, oramai leader, sembrerebbe, del Movimento 5 Stelle in conseguenza ed in forza della pace (armata) intervenuta con Beppe Grillo nel corso del “pranzo della spigola”, non ha mancato di sottolineare la propria contrarietà rispetto alla cosiddetta “Riforma Cartabia”. Nulla quaestio sul piano della dinamica dello “scambio” dialettico: ma quale potrà mai essere il significato profondo di quella manifestata contrarietà sul piano degli equilibri di Governo? Riusciranno, Mario e Draghi e Giuseppe Conte, a trovare una sintesi apprezzabile per proseguire tutti insieme nell’esperienza di “Unità Nazionale”? E se quella sintesi venisse in qualche modo trovata, quale potrebbe essere il suo riflesso più o meno condizionante la volontà dei restanti partiti di governo? Intendiamoci meglio: Giuseppe Conte, quanto meno sul piano dell’apparenza degli intenti, non vorrebbe, e non deve, cadere nella trappola del puro e semplice “sensazionalismo” per farne una questione di mero principio politico destinata ad evaporare nel breve periodo; Mario Draghi, dal canto suo, potrebbe trovarsi nella condizione di dover  comunque sentirsi costretto ad opporre l’immagine “comandata” di una piena solidarietà rispetto alla iniziativa riformatrice di Marta Cartabia; Giuseppe Conte, inoltre, vorrebbe, in buona sostanza, portare avanti, legittimandola, una vera e propria difesa nel merito su un tema che, a suo tempo, aveva consentito al Movimento 5 Stelle di accreditarsi a pieno titolo in Parlamento; Mario Draghi, invece, siccome “schiavo” di un “Tempo” che scorre indifferente sulle turbolente vicende dell’attuale esecutivo “arcobaleno”, potrebbe non accettare di buon grado l’ipotesi di un “dietro-front” di matrice autoreferenziale che avrebbe tutto il sapore di una insensata manovra dilatoria dagli esiti incerti condotta proprio a ridosso dello scoccare del cosiddetto e tanto atteso “semestre bianco”. Quello di oggi, dunque, con buona pace di Matteo Salvini, sarà, tutto considerato, l’incontro tra due Presidenti del Consiglio dei Ministri, l’uno “in carica”, l’altro “che fu”, rispettosi delle reciproche posizioni, i quali sapranno discutere tra “pari” al di là ed oltre ogni banale questione relativa all’incertezza sulle potenziali “credenziali” dello stesso Giuseppe Conte, il quale, lungi dal voler sferrare “un attacco al governo Draghi”, ha piuttosto manifestato la propria volontà di “fare politica” invocando “una legittima dialettica democratica” sulla spinosa questione della “prescrizione” che potrà e dovrà estrinsecarsi unicamente e necessariamente in Parlamento.

In linea teorica, la “pretesa” di Giuseppe Conte potrebbe apparire, come di fatto appare, oltremodo legittima. Ma la questione si presenta ben più complessa, perché inevitabilmente coinvolge, sul piano ideologico, la stabilità di un intero sistema sorretto dai soli sottilissimi “fili rossi” di un compromesso di circostanza. Purtroppo, nell’attuale “governo di unità nazionale”, manca un cosiddetto “partito architrave” espressione di reale sostegno al Premier quale fu la compianta Democrazia Cristiana al tempo della Prima Repubblica la quale, verosimilmente, potrebbe essere reinterpretata, per un verso, dal rinnovato Movimento 5 Stelle a trazione “contiana” laddove lo stesso Movimento, così incline ad farsi interprete di alleanze variegate, volesse proseguire la sua esperienza politica procedendo sulla via della “apertura e del dialogo” a 360° e, per altro verso, dallo stesso Partito Democratico se solo quest’ultimo si decidesse a riconoscersi in un vero leader unitario capace di trovare la sintesi compiuta delle diverse anime che lo compongono e che, nello stesso tempo, paradossalmente, lo lacerano.

L’incontro di oggi tra Mario Draghi e Giuseppe Conte, pertanto, sarà cordiale, non condurrà, verosimilmente a strappi profondi, ma segnerà l’inizio di qualcosa di nuovo sul piano della direzione politica del Paese. Intanto, perché l’attuale “Premier”, per quanto apparentemente risoluto ed autonomo nelle decisioni, non può concedersi il lusso di “snobbare” le legittime richieste provenienti da una formazione politica che nel corso dell’ultimo triennio ha saputo sapientemente assumersi il ruolo e l’onere di essere il partito di cosiddetta “maggioranza relativa”, il perno di tutte le alleanze di governo e il cardine, più o meno discusso, dell’intero sistema politico. Quindi, perché grazie a questa singolarissima fisionomia, quel Movimento così contestato, è riuscito ad influenzare in maniera rilevante, e continua a farlo, l’intera società italiana nei suoi differenti aspetti. Infine, perché i pentastellati, malgrado le loro altalenanti vicende interne, sono comunque riusciti ad influenzare le Istituzioni intervenendo in maniera spesso decisiva su vari aspetti della vita pubblica. Qualche tempo fa ho sostenuto, ed oggi continuo a sostenerlo in linea di principio, che proprio sul dossier “Giustizia” sarebbe potuto cadere l’attuale Governo.

Il rischio è elevato: tutto dipenderà dalla capacità di Mario Draghi non solo di affrontare la discussione sulla annosa questione della “prescrizione” in maniera critica ed in qualche misura accomodante, ma anche dalla sua capacità di ricostruire le relazioni tra l’attuale esecutivo arcobaleno e questo rinnovando Partito a 5 Stelle il quale, ad oggi, appare quale formazione politica tutto sommato maggiormente incline a porsi quale interprete delle diverse componenti della società italiana, delle Istituzioni dello Stato e dell’amministrazione pubblica. Un paradosso agli occhi dei più. Ma tale è il risultato derivato, per un verso, dall’alternarsi dei personalismi all’interno di un centro-destra oramai esistente solo sulla carta, e per altro verso, dall’inconsistenza di un centro-sinistra oramai divorato da sè stesso e che sembra aver smarrito la propria base ideologica. Ma se è vero, come sembra essere vero, che Giuseppe Conte potrebbe, in esito all’incontro di oggi con Mario Draghi, ricevere opportune rassicurazioni sulla “revisione” della riforma in punto di prescrizione, si porrà per il Premier in pectore il problema di far “digerire” la decisione alla Lega di Matteo Salvini, la quale, sul tema giustizia, aveva deciso di blindare le iniziative, financo discutibili sul piano giuridico, di Marta Cartabia. Diciamoci la verità: lo scambio dialettico previsto per oggi è il primo vero banco di prova per la tenuta dell’attuale maggioranza di governo. E Mario Draghi è chiamato ad operare una difficilissima sintesi che potrebbe addirittura mettere in discussione la sua autorevolezza. La salvaguardia di “una legittima dialettica democratica” può essere ragione sufficiente per affrontare il rischio? Io credo di si: non ci sono alternative. E Matteo Salvini, con buona sua pace, potrebbe trovarsi costretto ad incassare il colpo con ogni conseguenza pregiudizievole sul piano del consenso.

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato – Nuoro)

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