Non si tratta del solito atteggiamento vittimistico, né tanto meno del consueto piagnisteo di circostanza che quasi sempre, da svariati anni, accompagna il dibattito politico/giuridico sulla (dis)continuità territoriale sarda, le cui ultime vergognose (per le loro implicazioni sul piano sociale) e imbarazzanti vicissitudini hanno riempito le pagine dei quotidiani locali. Al di là di qualsivoglia riferimento a luoghi comuni tanto spiccioli sul piano concettuale, quanto inutili su quello pratico-giuridico per essere impiegati, il più delle volte, in maniera distorsiva e mistificatoria da parte di quanti vorrebbero “distrarre” altrove le responsabilità ad essi direttamente connesse, sarebbe utile affrontare la annosa questione analizzandola sotto un duplice ordine di circostanze, l’una di carattere concettuale e meta-giuridico, l’altra di profilo più squisitamente tecnico-pratico.

Tanto per cominciare, l’unico dato certo, quanto meno in linea teorica, sembra essere l’esistenza di un assioma incontestabile, di un dogma se vogliamo, sussumibile nell’affermazione di principio per cui “la raggiungibilità di una destinazione attraverso un sistema di trasporti economico e affidabile è parte integrante della competitività di quella destinazione” (cfr. Ritchie e Crouch – The competitive Destination: a Sustainable Tourism Perspective). Sotto, poi, altro e differente profilo, dato per ammesso e incontrovertibile il contributo che un’Isola come la Sardegna potrebbe offrire alla crescita del patrimonio dell’Unione Europea per le sue risorse naturalistiche, agricole e culturali, sarebbe addirittura “criminale” continuare a trascurare, forse solo per pura e semplice incapacità di darvi compiuta attuazione, che il Parlamento Europeo, con propria Risoluzione (2015/3014rsp) sulla condizione insulare, ha già espressamente riconosciuto la necessità stringente di potenziare i servizi di trasporto e l’utilizzo dei fondi strutturali per migliorare la situazione delle regioni insulari tanto nei termini di crescita economica quanto in quelli di sviluppo sostenibile.

Ma allora, se questo è lo stato dell’arte, la domanda non può che porsi nei termini della spontaneità conseguente: cosa è mancato, o cosa manca, alla Regione Sardegna, e in particolare al suo Consiglio Regionale, per passare dalla condizione di “potenza” a quella di “atto”?  In che modo, la Regione Sardegna, avrebbe potuto e dovuto agire, o potrebbe e dovrebbe agire, sulla scorta anche di quella Risoluzione, salutata da tutti come una conquista senza precedenti, affinché gli svantaggi dell’insularità divenissero, o divengano, vantaggi sul piano della crescita economica? Ma soprattutto, tradotto in soldoni: quali misure sono state, e/o non sono state, deliberate per l’utilizzo dei fondi europei di sviluppo regionale in relazione alla condizione insulare? Quale avrebbe dovuto essere, e dovrebbe ancora essere, il ruolo della Regione Sardegna, nell’economia del dibattito corrente e nell’interfaccia dialogico con le Istituzioni interessate?

Probabilmente, e di certo la cosa non riesce a sorprendermi, siamo destinati, nostro malgrado, a non ricevere mai alcun riscontro soddisfacente sul punto. E non mi si risponda, con la consueta sufficienza che accompagna un contraddittorio non voluto né altrimenti evitabile, che l’inserimento del principio di insularità in Costituzione sia la unica soluzione ad ogni “male” perché all’evidenza significherebbe non aver davvero compreso nulla del problema. Tanto più allorquando ci si sia limitati, come da più parti sottolineato, a richiedere la mera “costituzionalizzazione” del principio (solito “specchietto per le allodole” utile ad indorare la pillola al popolo sardo ma incapace di riflettere soluzioni efficienti) senza offrire indicazione veruna sugli obiettivi da perseguire attraverso la singolare e, sembrerebbe risibile, “pretesa” avanzata, peraltro, in totale dispregio della “Specialità dell’Autonomia” che tanto ci piace ostentare ma che non siamo mai riusciti ad attuare per la costante tendenza ad agire, in maniera senza dubbio de-responsabilizzante e de-qualificatoria per essere ispirata a dinamiche assistenzialistiche unidirezionali ed improduttive, attraverso la costante richiesta di trasferimento di risorse pubbliche a sottolineare, sempre e comunque, col “cappello in mano”, la nostra incapacità di gestione di un “autogoverno” da sempre esistito solo ed esclusivamente “per tabulas”: povera “Sardigna Natzione”, morta sul nascere per essersi dissolta all’atto stesso del suo primo impianto ideologico. Ma, anche a voler trascurare affermazioni di carattere generalissimo e generalistico sul riconoscimento e sul fondamento del “diritto alla mobilità”, sarebbe comunque quasi “criminale” continuare ad ignorare, per partito preso, l’assoluta rilevanza del servizio in discorso, come pure la circostanza che, anche in un contesto economico ispirato alla massima “liberalizzazione”, sia oltremodo opportuno, su differente e ulteriore profilo, sollecitare, e pretendere, non solo e primariamente, l’attivismo del nostro Governo Regionale, evidentemente incapace, finora, di offrire risposte convincenti e di intraprendere iniziative utili, ma anche, in via secondaria e consequenziale, un limitato intervento pubblico di investimento produttivo diretto a garantire collegamenti adeguati, a condizioni accessibili, con quelle aree nelle quali, quei collegamenti, non appaiano a tutt’oggi essere assicurati.

Detto altrimenti: si tratta di assecondare, attraverso forme di partenariato secondario, quella legittima aspettativa del cittadino ad una offerta di trasporto idonea a condizioni di servizio accettabili in termini di qualità e convenienza, intervenendo direttamente attraverso la predisposizione di un modello di crescita alternativo rispetto a quello finora adottato e/o non adottato dalla maggiore istituzione isolana: del resto proprio l’articolo 13 dello Statuto di Autonomia Speciale della Sardegna, peraltro rimasto immutato rispetto alla sua declinazione originaria come rilevato da diversi e autorevoli studiosi della materia, prevede espressamente un intervento statale, che “col concorso della Regione”, sia utile a definire “un piano organico per favorire la rinascita economica e sociale dell’Isola”. Piantiamola allora di puntare il dito sul Governo di Roma e/o sull’Unione Europea quale “Madre di Parto e di voler Matrigna” (cfr. Giacomo Leopardi, La Ginestra) dei Popoli, e rimbocchiamoci per primi le maniche per superare l’impasse strutturale derivante dall’esistenza del cosiddetto “doppio binario” che da sempre costituisce la caratteristica e la condanna della nostra condizione di meridionali e di isolani.

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato – Nuoro)

© Riproduzione riservata