Sono ancora terribilmente preoccupanti le notizie sul conflitto armato riaccesosi tra Israele e le componenti oltranziste palestinesi rappresentate dai miliziani di Hamas e del Movimento per il Jihad Islamico in Palestina, e, quel che è peggio, lasciano prevedere una “escalation” di violenza e devastazione destinate a lasciare sul campo nuove vittime e nuova, inutile, sofferenza. Si tratta di un conflitto difficile da comprendere (ogni conflitto lo è) e forse irrisolvibile per definizione: qualificabile nei termini, probabilmente riduttivi e non perfettamente condivisibili, di una “contesa territoriale”, siffatto conflitto ha incarnato, negli anni, lo stigma ed il paradigma della cosiddetta “questione mediorientale” e, di conseguenza, si è posto quale “bilanciere” instabile degli equilibri geo-politici internazionali passati ed in qualche modo presenti. Identità, etnia e religione si sommano e si confondono nel contesto ideologico di una questione “recuperatoria” che pare non riuscire a rinvenire soluzioni accomodanti a cagione del consolidarsi, in via gradata e costante, di un sentimento di contrapposizione destinato a maturare incessantemente nel tempo fino a radicalizzarsi irreversibilmente nella società civile siccome inserito, forse suo malgrado, all’interno di una dinamica assai complessa ed articolata di cosiddetti “equilibrismi politici” estremamente difficili da comprendere e, soprattutto, da conservare. In un contesto siffatto, quand’anche fosse vero, come pare essere vero, che l’Italia, a tutt’oggi, in ragione della sua collocazione geografica, rappresenta la “Porta d’Oriente” dell’Europa Occidentale, e quindi, il “tramite” privilegiato dei rapporti diplomatici con il Vicino e Medio Oriente anche con riferimento al conflitto israelo-palestinese, tuttavia, allo stesso modo, nel suo presentarsi profondamente ed acriticamente divisa, sul piano politico e partitico, tra filo-israeliani e filo-palestinesi, essa appare estremamente debole nel riuscire a “gestire”, anche solo sul piano squisitamente ideologico, vicissitudini “identitarie” tanto complesse e probabilmente poco studiate sul piano della politica estera nel periodo immediatamente successivo al lasso temporale indicato come “Prima Repubblica”, le quali (vicissitudini), a ben considerare, sono assai lontane dal poter essere ricondotte ad unità nell’unica formula omnicomprensiva e deviante del “due popoli, due stati” o, peggio, dell’ “unico Stato bi-nazionale”.

La “conservazione dello status quo”, quale terza via di un negoziato ancora inesistente e ben lungi dall’essere intrapreso siccome astrattamente inconcepibile, probabilmente, dal punto di vista del popolo palestinese, ma anche da quello del popolo israeliano, avrebbe tutto il sapore di una “non-soluzione” della questione israelo-palestinese, e palestinese in particolare, che sembra piuttosto aver perso centralità sul piano diplomatico. Il processo, comodo e squalificante, della polarizzazione indotta delle posizioni sia sul piano nazionale, sia su quello internazionale e “comunitario”, svilisce ulteriormente la rilevanza della questione e, sebbene, sul piano fattuale, sia forse poco opportuno tentare di riconoscere, e conseguentemente affermare, la sproporzione tra il primo attacco da parte di Hamas su Israele rispetto all’intervento “di ritorno” di quest’ultimo, tuttavia, allo stesso modo, altrettanto imbarazzante appare il tentativo, di taluni, di astenersi dallo stigmatizzare la “reazione” israeliana in pregiudizio del popolo palestinese, evidentemente viziata dall’“eccesso” nell’esercizio dell’autodifesa se parametrata sui criteri di cosiddetta “proporzionalità” nell’uso della forza.

A ben considerare, l’atteggiamento tiepido e scostante delle singole realtà nazionali rispetto ad un conflitto potenzialmente idoneo a degenerare sul piano politico financo nelle sue relazioni con lo stesso mondo arabo, sembrerebbe il riflesso condizionato, ed in qualche misura sottomesso, del disinteresse, apparente e/o strumentale, dell’intera comunità internazionale nel suo complesso considerata e genericamente intesa, e del Consiglio di Sicurezza dell’Onu in particolare: disinteresse direttamente suggestionato ed indotto, evidentemente, e sarebbe meglio sussurrarlo sotto-voce, dalla assenza di una sia pur minima prospettiva politica di intervento in medio-oriente, tutta ancora da programmare nei suoi contorni definitori sostanziali e formali siccome fino ad oggi compromessa dalla mancanza di un barlume di esistenza, e di conseguente credibilità, sulla scena internazionale, di una qualche forma di politica estera europea.

“Ristabilire la pace in medio-oriente” sarebbe stato l’imperativo categorico solo fino a qualche anno fa: oggi appare come un obiettivo sbiadito dal trascorrere del tempo e, allo stesso tempo, ancora troppo lontano da perseguire. L’esigenza di “realismo” appare sottomessa al clima di anarchia ed insicurezza ingenerate dal conflitto. Eppure, in un contesto siffatto, si inserisce, con pari dignità, sia il diritto del popolo palestinese a vedersi riconosciuta una “patria”, sia il diritto di Israele a vedere garantita la propria sicurezza interna ed esterna, sia, parimenti, la necessità del mondo arabo, complessivamente inteso, non solo di conservare la propria posizione di preminenza geo-politica nello scacchiere internazionale, ma anche di evitare, per quanto possibile, soluzioni di circostanza imposte dall’esterno siccome suggerite dal tentativo di ristabilire gli equilibri di un potere condiviso quale prospettiva politica a cui ispirare una eventuale azione politica del mondo occidentale sul territorio. Nulla quaestio: il diritto all’autodeterminazione dei popoli è principio imprescindibile ed incontrovertibilmente valido: per altro verso, tuttavia, l’attuale esigenza del mondo occidentale di conservare un atteggiamento politico ispirato a prudenza, e disarticolato rispetto ad ogni possibile coinvolgimento diretto nella crisi israelo-palestinese, per quanto sintomatico di una ingiustificabile incapacità di reazione, appare come l’alternativa unica in assenza di valide “proposte” solutorie alternative.

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato  – Nuoro)

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