I numeri sono impietosi. Stanno fermi, senza alibi e dottrina. Svelano senza condannare. Irridono gli alibi con algida evidenza. Nel marzo del 2019, secondo l'Istat, sono morte a Sassari città 106 persone. Quante nel marzo 2020? Il dato ufficiale non è ancora disponibile (anche se gli uffici dell'anagrafe dovrebbero riceverlo entro il 12 del mese successivo), ma lo si può ricostruire.

Le autorizzazioni al seppellimento rilasciate dall'ufficiale di stato civile hanno un numero progressivo. Prendiamone una del 29 di febbraio e un'altra del 6 aprile. Si scopre, con una banale sottrazione, che a Sassari si sono svolti 184 funerali con partenza dall'abitazione. Altri 56 sono morti in ospedale dal 7 marzo al 6 aprile. Si arriva a 240 persone in 39 giorni. Dato indicativo e non preciso? Ammettiamolo, ma molto prossimo al vero. Come si interpreta il raddoppio dei morti a Sassari nel marzo 2020 rispetto allo stesso mese dell'anno precedente? Difficile a dirsi. Ufficialmente in Sardegna sono morte di Coronavirus, in tutta l'isola, 59 persone. Non è dato sapere quante di queste a Sassari. E dunque il problema diventa la comunicazione. Si ritiene che in guerra l'informazione debba essere filtrata dal potere. Per il bene di tutti. Non è un caso che nelle situazioni difficili e gravi, la minoranza che da sempre affida se stessa, e soprattutto gli altri, alla trinità estetica dell'autoritarismo (testosterone retorico, paura e manganello) evochi come opportuno e necessario il proprio filtro delle informazioni. Per il momento, questo pericoloso sceriffismo ha solo interpreti nei poteri periferici, ma la radice è dentro la malapianta diseducativa di uno Stato che non sa più che cosa sia il diritto. Come è stato ben scritto, in Italia si insegna che le leggi sono le regole per dirimere i conflitti, che è come spiegare che cosa sia il calcio facendo leggere il regolamento, cioè partendo dai falli. Questa è la deriva: dalla giustizia al fallismo, con tanti fallisti in cerca di sipario. Solo con un popolo disinformato e ignorante è infatti possibile multare chi va a comprare due bottiglie di vino e contemporaneamente predisporre gli emendamenti in Parlamento per garantire l'impunità a chi non ha preso le decisioni giuste per tempo e quelle sbagliate a tempo scaduto (non si vuole delle case di cura divenute camere a gas, degli ospedali come epicentri dell'epidemia, del “Non abbiate paura” divenuto “Io resto a casa” nel giro di dieci giorni. Non se ne vuole parlare per improvvisa nauseabonda peristalsi). Ben altra civiltà in altri Paesi, dove l'educazione fa più della legge, dove l'informazione è parte della ragionevolezza delle scelte comuni, dove il sapere non è temuto e il potere non oscilla, come il carattere imprevedibile dei tiranni, tra lassismo e rigore, tra processi infiniti con piazza osannante e improvvisi appelli all'unità e alla coesione. Aveva ragione Gobetti. Il fascismo non fu una malattia improvvisa, ma il figlio legittimo del Risorgimento, delle sue pompe e delle sue truffe, del sangue innocente manipolato che è riemerso e riemerge a chiedere, ogni tanto nella storia, verità.

Paolo Maninchedda
© Riproduzione riservata