D opo la straordinaria abbondanza di gloria riscossa dalla narrativa isolana negli anni Settanta (Il Premio Strega a Giuseppe Dessì per il suo “Paese d'ombre”, lo strepitoso successo riscosso in tutto il mondo da “Il giorno del giudizio” di Salvatore Satta, la Palma d'oro a Cannes vinta dai fratelli Taviani per la trasposizione cinematografica di “Padre Padrone”, scritto da Gavino Ledda e diventato un caso letterario senza precedenti) la letteratura sarda è entrata - per un breve periodo - in una zona d'ombra, di tanto in tanto rischiarata da lampi d'eccellenza: come accadde, nel 1988, quando Salvatore Mannuzzu vinse il Premio Viareggio con il suo romanzo “Procedura”, pubblicato da Einaudi.

Questa penombra divenne quasi buio nel 1995 quando il romanziere Sergio Atzeni - di recente approdato in Mondadori da Sellerio - improvvisamente morì, lasciando la letteratura sarda orfana di uno fra i suoi più significativi talenti.

In quegli anni, gli scrittori sardi che pubblicavano con case editrici nazionali erano rimasti davvero in pochi. Si contavano, ormai, sulle dita delle mani: e sembrava che fossero in via di estinzione! Invece, il campo era a maggese. Presto, infatti, c'è stato l'improvviso “BOOM!”: Marcello Fois, Alberto Capitta, Flavio Soriga, Milena Agus, Michela Murgia, Gianni Marilotti, l'expolit di Salvatore Niffoi, Francesco Abate, Piergiorgio Pulixi, e Cristina Caboni, per menzionarne solo alcuni.

Oggi, gli scrittori sardi alla ribalta nazionale sono un numero impressionante. Forse mai nella storia della nostra Isola c'è stata una simile visibilità e una così preziosa pluralità di voci, stili, temi e qualità.

Poco è cambiato, invece, sul fronte dell'ambientazione.

La stragrande maggioranza degli autori isolani, infatti, continua ad ambientare i propri romanzi in Sardegna. Una dipendenza? Una necessità? Un sentimentalismo?

O, forse, più semplicemente la libertà di fare sempre ciò che il cuor comanda?
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