Primi anni Ottanta. La pallonata che raggiunge in pieno volto un'anziana donna seduta su una panchina di Piazza Giovanni XXII è devastante. Immediate, le urla di dolore si mescolano alle sommesse richieste d'aiuto, mentre due rivoli di sangue le colano giù dalle narici. I vestiti si macchiano. Un occhio si gonfia. Tra la piccola folla che si raduna d'intorno c'è anche un bambino, con le mani colme di fiori di Jacaranda. Gli stessi che hanno trasformato la piazza in un meraviglioso quadro impressionista.

Vorrebbe prestare soccorso, ma la vista del sangue lo atterrisce. Quel rosso scuro, che si spande a macchia d'olio sul lino bianco della camicetta, gli trasmette panico e impotenza.

“Guardi in alto signora: tenga il naso in su…”.

“Ma no! Quando mai! Bisogna abbassare la testa per fermare l'emorragia…”.

Nel caos, le opinioni dei soccorritori divergono. Da un bar, un uomo ritorna con una busta di ghiaccio che, subito, viene posta sull'occhio livido della donna.

Il bambino nel frattempo resta immobile a guardare i fiori viola sulla pavimentazione della piazza, sventrata dalle radici degli alberi: preferisce guardare questo, anziché il sangue. A sette anni non ha ancora imparato ad affrontare le sue paure.

Di ritorno dalla più vicina farmacia, intanto, una donna stappa il tubetto di cotone emostatico che ha procurato e ne sistema un po' nelle grosse narici della donna.

Quasi subito, l'emorragia si ferma.

Ora che la paura è passata, il bambino raggiunge l'anziana signora dolorante e le porge le sue manine colme di piccoli fiori viola.

“Sono per te”, le dice.

La delicatezza di quel gesto scende come un balsamo sull'animo turbato della donna che, con il volto sfigurato, trova comunque la forza di sorridere: per insegnare al bambino che è possibile alleviare il dolore degli altri anche soltanto con un'emozione.
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