S u Poettu / sa spiaggia 'e centumila / ari cambiau nomini. / Si nàrada Sa Perdixedda / cumenti Giorginu d'una borta. / E perda e cocciuledda / d'ari coberta, / trasformenti is bagnantis / in alpinistas scurzus.

In questi versi ci sono tutta la sapienza, l'ironia e il garbo del poeta cagliaritano Antonio Romagnino, firma illustre di questo giornale, professore di latino presso il liceo Dettori, combattente in Africa Settentionale, Prisoner of War negli Stati Uniti d'America, oltre che redattore capo di Rivoluzione Liberale.

Pur avendo vissuto una vita straordinaria, Antonio Romagnino rimase umile: aveva modi da gentiluomo, vestiva elegante e scriveva le sue lettere con una grafia fluida, d'altri tempi, frutto d'una penna stilografica pazientemente caricata con l'inchiostro azzurro.

Il suo libro “Né morsi né carezze” - pubblicato da Aipsa nel settembre del 2002 è quasi introvabile e sarebbe un vero peccato se noi cagliaritani lo relegassimo nel dimenticatoio. Non solo perché è un'opera importante per la memoria della nostra città: ma anche (e soprattutto) perché Antonio Romagnino dovrebbe servirci come punto di riferimento e come metro di paragone. Forse nessuno ha mai descritto la nostra città tanto bene e con tanto amore come lui ha fatto nelle sue pubblicazioni. In pochi, di certo, hanno amato Cagliari quanto l'ha amata lui.

La Cagliari d'un tempo: quella città materna che generosamente ci accoglieva e ci ospitava nelle sue piazze e perfino lungo i marciapiedi.

A tal proposito Romagnino, scrisse: «Morte del marciapiede, / non di quello che sempre vivrà / dove sostano le battone. / Ma di quello senza nome / che gli uomini da sempre / hanno solcato a piedi. / Non vanta più incontri di voci / o paure di silenzi. / Solo buchi e fossati / a ghermire femori e gambe / violentato da ruote rapaci mai sazie di parcheggio./ Ignorato dall'Uomo / inchiodato al parabrezza».
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