R osa fresca aulentissima ch'apari inver la state, / le donne ti disiano, pulzell'e maritate».

Scritto nella prima metà del Duecento, questo celebre componimento del poeta siciliano Cielo d'Alcamo venne letto e spiegato nell'aula magna della facoltà di lettere dell'Università di Cagliari da un Dario Fo fresco di Nobel. Fu una lezione indimenticabile e provocò scalpore. Gli studenti s'affollavano ovunque. Alcuni si accomodarono sul pavimento. Ascoltavano: e non credevano alle loro orecchie. «Questo è un pezzo di teatro. Non di letteratura», annunciò Dario Fo spiegando che, in realtà, le parole di Cielo d'Alcamo erano ben più volgari e licenziose di quanto i docenti abbiano cercato, per secoli, di far credere ai loro allievi.

La Rosa fresca aulentissima di cui si parla è davvero una ragazza corteggiata?

Dario Fo non è d'accordo. Una rosa è fresca e profuma in primavera, non certo nella torrida estate siciliana! Inoltre: è davvero credibile che nel Medioevo una fanciulla fosse tanto desiderata da altre ragazze e da donne sposate?

I conti non tornano. E allora?

La verità che quel giorno Dario Fo svelò agli studenti cagliaritani fu questa: i gabellieri, nel Duecento, giravano per i mercati con un libro mastro dove annotavano le riscossioni. Non disponendo di un banco, sollevavano la gamba destra e appoggiavano il registro delle entrate sulla coscia. Indossavano un gonnellone che in dialetto sicialiano si chiama “la stati”. Ecco: la rosa fresca aulentissima sarebbe - in verità - quella che si intravedeva inver la state: tra le loro gambe.

Ma come? È davvero possibile che Cielo d'Alcamo alludesse al pene del gabelliere?

Dario Fo ne era fermamente convinto.

«Le donne ti desiano, pulzell'e maritate»!, sottolineò con la sua solita verve, provocando negli studenti una birbante e sonora risata.
© Riproduzione riservata