I quarantenni di oggi invidiano gli adolescenti contemporanei che - con i loro iPhone - dispongono di infinite possibilità di comunicazione: minuti illimitati, Facebook, Instagram, Snapchat, oltre al telegramma moderno degli sms (ormai una roba da vecchi e già in declino).

A Cagliari, all'inizio degli anni Ottanta, c'era un solo telefono per tutta la famiglia: e raramente offriva discrezione, sistemato com'era al centro della casa, in corridoio. Non aveva tasti, ma una rotella che poteva essere bloccata da un lucchetto punitore: nel caso in cui se ne fosse fatto abuso. I genitori sprovvisti di contascatti ricorrevano al lucchetto il giorno dell'arrivo della bolletta. La SIP aveva introdotto la temutissima TUT, ovvero, la tariffa urbana a tempo. Da quel giorno, anche le telefonate in città divennero costose.

Per avere un po' di privacy nel parlare con la sua fidanzata, un ragazzino innamorato ricorreva - per lo più - alla prolunga che permetteva al telefono di raggiungere gli angoli più riservati dell'appartamento in cui abitava (anche se la porta - ostacolata dal grosso filo grigio - non poteva mai essere chiusa del tutto). Solo dopo tanto laborioso impegno (le trattative per consentire l'apertura del lucchetto, il trasferimento del telefono al riparo da orecchie indiscrete e la promessa che la telefonata sarebbe stata breve) la comunicazione poteva cominciare, salvo poi essere prematuramente interrotta da qualcuno disposto a pagare le mille lire necessarie per richiedere alla SIP lo straordinario servizio di chiamata urbana urgente.

Una voce robotica, allora, si intrometteva nella conversazione dei fidanzatini ripetendo continuamente: Chiamata urbana urgente per il numero 0 7 0 4 9 7 9 6 7. E bisognava chiudere in fretta: anche se, nella maggior parte dei casi, si trattava di una zia impaziente e - grazie a Dio - quasi mai di un'emergenza.
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