Un divorzio strisciante
Beniamino MoroI n un recente editoriale sul Corriere della Sera, Angelo Panebianco ha posto in evidenza i rischi che gravano sull'Alleanza atlantica e sui rapporti economici tra Usa e Ue qualora Donald Trump venisse rieletto per un secondo mandato. Ma coglie anche alcuni aspetti positivi: ad esempio, rimediando ad alcuni errori di Barack Obama, Trump ha assunto un confronto duro con la Cina; oppure, rispetto alla divisione fra musulmani sunniti e sciiti, ha rovesciato le alleanze scegliendo di dialogare coi primi, mentre i suoi predecessori avevano scelto gli sciiti. L'alleanza con questi ultimi non sembra aver dato più stabilità alla regione medio-orientale, né ha ridotto le minacce verso Israele. Invece, sostiene Panebianco, «la politica di Trump sembra aver dato alcuni importanti frutti: il più spettacolare riguarda il contributo alla normalizzazione dei rapporti fra Israele e gli Emirati Arabi».
Detto ciò, bisogna prendere atto che meriti ed attenuanti finiscono qui e, dal punto di vista dell'interesse occidentale, comincia la lunga lista dei demeriti: «Trump ha fatto sapere al mondo che l'America è impegnata a ridimensionare il proprio ruolo internazionale. Il che - prosegue Panebianco - ha scatenato gli appetiti nelle varie aree delle altre grandi potenze (Russia, Cina) e di potenze regionali (Turchia)». Che si tratti di Medio Oriente o di rapporti con la Russia, conclude Panebianco, «stiamo parlando di cose che toccano gli interessi di noi europei».
C osì come ci tocca, destabilizzandoci - sostiene Panebianco - il nazionalismo trumpiano, con i suoi effetti dirompenti: lo scontro con la Germania, l'ostilità all'Unione europea, la polemica sul ruolo della Nato, più in generale l'attacco alle istituzioni multilaterali create proprio dagli Stati Uniti dopo il 1945».
Storicamente, invece, gli Stati Uniti prima di Trump avevano sempre sostenuto l'integrazione europea, un progetto centrato proprio su Germania e Francia. Nelle sue varie fasi di crescita, il tono e i messaggi dei presidenti americani sono sempre stati gli stessi: Stati Uniti ed Europa sono alleati naturali, condividono valori di libertà e democrazia e sono uniti in difesa dell'ordine multilaterale liberale.
Per la verità, i rapporti tra gli Stati Uniti e l'Europa avevano cominciato ad incrinarsi già con Barack Obama. Solo superficialmente quest'ultimo è apparso agli europei come il potenziale restauratore dell'armonia transatlantica, ma in realtà, come suggerisce una relazione dell'ISPI (Istituto per gli studi di politica internazionale), «emerge la figura di un presidente disincantato verso l'Europa, che ritiene una regione ormai stabile e matura, senza più bisogno dell'assistenza americana. In realtà i suoi interessi sono altri: America Latina, Medio Oriente e, soprattutto, l'Asia». Resta vero che gli Usa di Obama hanno lavorato in stretta sintonia con gli alleati europei per raggiungere obiettivi storici come l'accordo di Parigi sul clima e il patto sul nucleare iraniano, ma il messaggio di fondo è chiaro: l'Europa non può più dare per scontato di essere in cima alla lista delle priorità della Casa Bianca.
Tuttavia, se per Obama la relazione transatlantica doveva trasformarsi in un rapporto più paritario e razionale, è con l'arrivo di Trump che gli Stati Uniti mettono in dubbio il valore stesso della relazione. «Fin dalla campagna elettorale del 2016 - sostiene l'Ispi -, Trump lascia intendere con quali occhi veda l'Unione europea, dipingendola come una macchina creata per fare più soldi degli Stati Uniti e non nasconde la sua avversità verso la governance multilaterale, le organizzazioni internazionali e i loro complessi meccanismi decisionali: Bruxelles non fa eccezione». Perciò, il suo arrivo alla Casa Bianca coincide con un crollo della fiducia degli europei verso il presidente Usa.
In conclusione, se Trump fosse confermato, i motivi per preoccuparci sarebbero molti: da una nuova guerra commerciale a un'ulteriore ritirata Usa dagli affari europei, che lascerebbe più spazio di manovra ai nuovi regimi autoritari di Russia, Cina e Turchia.
BENIAMINO MORO