C on “helicopter money” in economia s'intende l'ipotesi di stampare banconote da scaricare con un elicottero sopra le città, distribuendole a pioggia alla popolazione. È un'idea suggestiva cui qualche osservatore ricorre per intendere che quando l'economia ristagna un modo per rianimarla consista nel dare alla popolazione nuovo potere d'acquisto. Non si è molto lontani da questo concetto coi due ultimi decreti del governo, che messi insieme distribuiscono a pioggia 80 miliardi di euro, tutti in deficit spending.

In realtà, come avviene la creazione di nuova moneta? Trascurando le banconote, che vengono emesse in quote fisse da parte di ciascuna banca centrale dei Paesi dell'Unione monetaria europea (Ume) e che sono la parte meno rilevante della massa monetaria, oggi le Banche centrali dei paesi dell'Ume possono emettere moneta solo in due modi: con le operazioni di rifinanziamento a breve e lungo termine del sistema bancario o con l'acquisto di titoli pubblici nell'ambito del programma di quantitative easing (Qe).

Quanto al primo modo, dipende dalle richieste di liquidità delle singole banche ordinarie.

L o ha chiarito in un'intervista al Corriere della Sera François Villeroy de Galhau, governatore della Banca di Francia: «Alla Bce abbiamo lanciato un'offerta di liquidità eccezionale fino a quattromila miliardi di euro. Ne beneficia molto l'Italia, giustamente. Se si guarda il totale delle operazioni di rifinanziamento, quasi il 30% oggi va alle banche italiane: è la prima destinazione». Quanto al secondo modo, che dipende invece dalla discrezionalità della Bce, sempre il governatore francese chiarisce che «dal 18 marzo quando abbiamo deciso il Pepp (Pandemic emergency purchase program, ovvero il programma di emergenza di acquisti di bond contro la pandemia) da 750 miliardi, lo spread italiano sulla Germania in media è del 2,1%; nei vent'anni che hanno preceduto l'euro era in media al 5,6%. L'euro permette dunque all'Italia di finanziarsi pagando molto di meno. È un vantaggio che hanno anche la Francia, la Spagna e altri Paesi». Il governatore intendeva dire che il vantaggio dipende dall'uso dell'euro, moneta forte, al posto delle vecchie monete nazionali, più esposte alla speculazione dei mercati finanziari.

La Banca d'Italia utilizza entrambi i canali di emissione della moneta all'interno dell'Ume. Al di fuori di questi due, non esistono altri canali attraverso cui l'Italia possa in nessun modo emettere nuova moneta, non esiste più oggi la Zecca dello Stato che stampava nuove monetine. Tuttavia, con riguardo al secondo meccanismo di cui sopra, la Bce, attraverso la Banca d'Italia, ha già monetizzato il 22% del debito italiano (circa 550 miliardi). Il governo italiano, per finanziare i due ultimi decreti, come si è detto entrambi in deficit spending, venderà Btp o altri nuovi titoli per 80 miliardi, che la Banca d'Italia riacquisterà (emettendo moneta) in tutto o in parte nell'ambito del programma di Qe.

Lo spread attualmente è tornato intorno ai 200 punti base: ancora alto, ma governabile con gli acquisti della Bce.

Ipotizziamo ora che cada il governo attuale e se ne formi uno nuovo esplicitamente orientato ad uscire dall'Ume per tornare alla lira. A parte tutte le complicazioni giuridiche di un'uscita dall'euro, l'effetto immediato sarebbe quello di far schizzare lo spread anche oltre il livello di 570 punti raggiunti nella crisi del dicembre 2011. La percezione dei mercati sarebbe che il nostro debito pubblico potrebbe non essere considerato più sostenibile e, in mancanza di un deciso intervento come ad esempio un'imposta patrimoniale, il rischio di default del Paese diventerebbe concreto. Pertanto, ai commentatori anti-euro, che per convenienza politica, vanità personale o ingenuità culturale, credono che un ritorno alla lira possa avvenire in modo indolore, ordinato e senza conseguenze disastrose per il Paese, va detto che le loro argomentazioni sono solo ideologiche, pericolose e destituite di un corretto fondamento economico.

BENIAMINO MORO

UNIVERSITÀ DI CAGLIARI
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