L 'ultimatum di Matteo Renzi è perentorio e non lascia presagire nulla di buono per il governo: «L'esperienza del Conte 2 per me è già archiviata. Se volete discutiamo sul dopo». Per essere più credibile, all'ammonimento il leader di Italia Viva ha fatto seguire le osservazioni del suo partito alla bozza di Recovery plan redatta dal governo, consistenti in 30 pagine di critiche e un centinaio di obiezioni che intende utilizzare, una volta aperta la crisi, per bocciare il lavoro di Conte, che lui definisce «un collage di ovvietà senza visione, zeppo di ripetizioni e con paragrafi sbagliati».

N ella scaletta di Renzi, a questo primo passaggio della sua road map verso la crisi di governo, ne seguono altri due. Il primo è stato il voto positivo sulla manovra finanziaria, deciso «per evitare al Paese l'esercizio provvisorio». Infine, nei prossimi giorni intende aprire la crisi vera e propria, quando, come sostiene apertamente, si farà «carico del coraggio anche per Di Maio e Zingaretti». La stoccata al ministro degli Esteri e al segretario del Pd serve, come ha posto in evidenza Francesco Verderami sul Corriere della Sera, a ricordare ciò che un mese fa aveva detto un esponente dem del governo, ovvero che «metà del Pd e un pezzo di M5S avevano stretto un patto con Renzi, tranne poi ritrarsi».

Il motivo del malessere verso Conte era evidente: le forze di maggioranza non accettavano che il premier, con le sue mosse sul Recovery fund e i servizi segreti, «trasformasse le strutture dello Stato a propria immagine e somiglianza, con l'obiettivo di organizzarsi un partito personale per svuotare il Movimento, vampirizzare il Pd e annientare Iv».

Il presidente del Consiglio, dal canto suo, è ben consapevole dei rischi che corre e ha approfittato della conferenza di fine anno per chiarire: «Noi stiamo lavorando al futuro del Paese, … abbiamo fatto una manovra espansiva di 40 miliardi, lavoriamo al Bilancio europeo, sono qui per programmare il futuro. Non potrei distogliermi da questi impegni per impegnarmi in una campagna elettorale». Perciò, «occorre accelerare la cosiddetta verifica di maggioranza, così da affrontare nei primi giorni di gennaio il Recovery plan, da consegnare poi alle forze sociali e al Parlamento, per definirlo in via definitiva a febbraio».

In precedenza, a “Porta a Porta”, Conte aveva puntualizzato che se questo governo fallisse, andrebbe «a casa con ignominia» e aveva confermato che non ci sarà una task force centralizzata sul Recovery plan. Infine, sui due punti più controversi, ha ribadito la volontà di tenersi le deleghe sui servizi segreti, «che gli vengono attribuite dalla legge», e che il ricorso al Mes lo deciderà il Parlamento.

Così la maggioranza si trova al crocevia di una crisi che per ora non c'è, ma che di fatto, come sostiene Verderami, è già innescata. Il quadro della situazione testimonia infatti l'esaurimento della spinta propulsiva del Conte 2, che paradossalmente resta ancora in piedi per le diffidenze tra alleati. Ma siccome il Paese, come ha spiegato il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, non può essere governato da un paradosso, «bisogna intanto resettare tutto e ricostruire un clima di fiducia reciproco».

Questo è il presupposto indispensabile perché l'attuale coalizione possa trovare un nuovo equilibrio. Sarà un esercizio complicato, ma è la prova che si inizia a ritenere credibile l'offensiva renziana.

Al fondo, conclude Verderami, c'è «una verità inconfessabile per i Cinquestelle e per il Pd: molti loro dirigenti sperano che Iv non faccia marcia indietro. Altrimenti non si capirebbe l'affannoso posizionamento che prelude a un cambio di scenario, le discussioni su chi e come potrebbe gestire la nuova fase».

Non è escluso che, alla fine, per effetto dei veti contrapposti, Conte arrivi a succedere ancora una volta a sé stesso. «Può essere, anche se dare la fiducia a un Conte 3 - ha confidato Renzi a un esponente del Pd - mi costerebbe». Chissà perché, avverte Verderami, «su questo punto il dirigente dem ha sentito puzza di bruciato ed è rimasto sospettoso».

BENIAMINO MORO
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