L a recente proposta della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, di convocare in autunno una “Conferenza sul futuro dell'Europa” è molto opportuna, non solo perché l'iniziativa formalmente è stata presa col sostegno politico del presidente francese, Emmanuel Macron, e della cancelliera tedesca, Angela Merkel, ma soprattutto perché nella sostanza è effettivamente necessario, al punto in cui si trova oggi l'Unione europea, un chiarimento sulla sua identità e, quindi, sul suo futuro. Il dibattito è aperto.

Perché proprio adesso? Perché l'emergenza Covid ha creato le condizioni più favorevoli per la ripresa di un dibattito che nel corso del tempo era finito tra le secche dei due fronti contrapposti: quello federalista, che auspica gli Stati Uniti d'Europa sul modello federale americano, e quello che auspica una visione dell'Europa delle nazioni dove l'autonomia degli Stati nazionali resta in ultima analisi intoccabile.

Sul primo fronte ci sono i Paesi più grandi, dalla Germania alla Francia, dall'Italia alla Spagna e al Portogallo, mentre sull'altro ci sono i cosiddetti Paesi frugali del Nord (Olanda, Danimarca, Finlandia, Svezia e Austria) insieme ai Paesi dell'Est, arrivati per ultimi nella Ue. I Paesi frugali fanno del rigore di bilancio una religione, mentre quelli dell'Est sono interessati per lo più a mantenere i lauti finanziamenti europei per lo sviluppo regionale, ma sul federalismo sono allineati ai Paesi frugali.

S i diceva che il Covid abbia cambiato le carte in tavola, perché col Recovery Plan, ribattezzato anche Next Generation Eu, c'è stato l'avvio di un finanziamento comune del debito, che ha lasciato intravvedere la prospettiva di un vero bilancio europeo. Come ha scritto Vittorio Armellini sul Corriere della Sera, «la crisi sanitaria ha reso chiaro che se non riuscirà ad integrarsi di più, l'Europa si troverà disarmata dinanzi alle nuove sfide e finirà per scivolare nell'irrilevanza». Perciò, come aveva già sottolineato Maurizio Ferrera, «l'idea è quella di un dibattito a tutto campo, aperto anche alla società civile, sul rafforzamento della Ue. I grandi dibattiti possono svolgere importanti funzioni di legittimazione e costruzione di identità». Tuttavia, prosegue Armellini, la visione federalista «non è condivisa da quanti considerano l'Ue come un esercizio di razionalizzazione economica e di mercato (Paesi frugali), o la vedono come uno strumento per massimizzare i vantaggi di un'identità nazionale da poco recuperata (Paesi dell'Est). L'idea di Europa basata sui valori fondanti della democrazia rappresentativa, dello stato di diritto, del rispetto dei diritti umani e dell'economia di mercato resta comune a tutti; ma i problemi nascono quando dalle affermazioni di principio si passa alla pratica».

Occorre perciò prendere atto che nell'Ue coesistono percorsi ed obiettivi paralleli e non conflittuali fra loro. Maurizio Ferrera ha sintetizzato nelle “tre C” (confini, comandi e condivisione) le vie del rilancio: 1) occorre rafforzare la sorveglianza dei propri confini mediterranei e introdurre un nuovo e più equo regime di asilo e di distribuzione dei migranti, 2) la sovranità fiscale non può reggere senza un po' di sovranità tributaria (comandi), capace di scoraggiare le politiche opportunistiche di alcuni Paesi, soprattutto l'Olanda, 3) senza la disponibilità all'aiuto reciproco (condivisione), come è avvenuto nel contrasto al Covid-19, in caso di avversità non può esserci una comunità politica. Il problema è che neanche su queste ipotesi minimali esiste ancora un'intesa comune. Perciò, occorre prendere atto che vi sono livelli d'integrazione in cui la dimensione sovranazionale ha valore residuale. «La Conferenza - conclude Armellini - dovrebbe affermare la pari dignità delle più Europe esistenti all'interno dell'Unione, per poi individuarne ambiti e modi di funzionamento, facendo tesoro dell'apporto della società civile e senza soggiacere ai tabù dell'immodificabilità dei Trattati».

BENIAMINO MORO
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