Gli incentivi per il Sud
Beniamino MoroS u iniziativa del ministro per il Sud, Giuseppe Provenzano, dal primo di ottobre è partita la sperimentazione della fiscalità di vantaggio per il lavoro nelle regioni del Mezzogiorno. La misura, che verrà finanziata coi fondi del Next Generation EU (Recovery fund), prevede un taglio del 30% dei contributi a carico delle imprese per tutti i dipendenti la cui sede di lavoro si trovi in una regione del Sud, con una conseguente riduzione del costo del lavoro a parità di salari netti. Dal 2021 la misura sarà estesa, con sgravio decrescente, fino al 2029: almeno questa è la proposta che il ministro sta discutendo in Europa.
«Già prima della pandemia, con il Piano Sud 2030 - ha scritto il ministro al Corriere della Sera -, abbiamo messo in campo una strategia coordinata di rilancio degli investimenti pubblici e privati, un impegno assunto con il PNR (Piano nazionale di riforma), che abbiamo iniziato ad attuare in questi mesi e che ora grazie al Next Generation EU potremo potenziare».
Sullo stesso giornale milanese, la misura è stata criticata da autorevoli commentatori, presentandola come un'illusione (Daniele Manca), oppure come una strada che non aiuta le future generazioni o che, addirittura, nel perpetuare le croniche condizioni di sottosviluppo, «potrebbe avvicinare il Mezzogiorno al Vietnam» (Francesco Giavazzi). Tali giudizi sono ingenerosi, anche alla luce dell'intenso dibattito che da oltre un ventennio anima il confronto culturale sullo sviluppo economico delle aree arretrate in Europa.
D i solito, le politiche di sviluppo economico regionale sono centrate sulla concessione da parte della pubblica amministrazione (PA) di forme varie di agevolazioni, per lo più contributi, da erogare alle imprese per nuovi investimenti.
Tali agevolazioni possono essere finanziarie se sono erogate come contributi monetari, oppure fiscali, se sono concesse sotto forma di bonus o di sgravi fiscali, che per loro natura sono automatici, nel senso che vengono concesse automaticamente al verificarsi di certi presupposti, senza che intervenga alcun processo valutativo discrezionale da parte della PA.
In passato, l'uso della politica fiscale per finalità di sviluppo regionale e, in particolare, di una politica fiscale differenziata territorialmente non era consentito dall'Ue, per motivazioni che riguardavano i principi di neutralità e di concorrenza fiscale tra i diversi Paesi. Più recentemente tuttavia, anche alla luce dell'evoluzione teorica e aggiornata di questi stessi principi, la Commissione ha ritenuto che è nell'interesse della stessa Ue indurre i singoli Stati a spostare l'attenzione delle politiche regionali dall'utilizzo delle agevolazioni finanziarie verso un uso più frequente di quelle fiscali e, più in generale, della politica fiscale, anche differenziata territorialmente, che a parità di risorse impiegate risulta essere, come si è detto, più efficace nel promuovere lo sviluppo economico.
Non vi è dubbio che sulla base dell'esperienza maturata dai Paesi che ne hanno fatto largo uso, ad esempio l'Irlanda, ma anche l'Olanda e il Lussemburgo, l'utilizzo delle agevolazioni fiscali e, più in generale, della politica fiscale per finalità di sviluppo economico regionale si è dimostrato molto più efficace delle politiche tradizionali basate sull'erogazione di agevolazioni finanziarie. Ciò spiega altresì perché le politiche d'incentivazione degli investimenti sinora seguite per lo sviluppo del Mezzogiorno, basate sulla concessione di contributi finanziari, non siano riuscite ad avere successo. Una modifica nella concessione delle incentivazioni a favore di quelle automatiche di natura fiscale e, più in generale, l'uso di una politica fiscale differenziata territorialmente per finalità di sviluppo economico regionale sembrano essere, quindi, le due chiavi di volta necessarie per attirare gli investimenti internazionali verso le aree arretrate del Paese e avviare così a soluzione, o almeno si spera, l'annoso problema dello sviluppo del Mezzogiorno e, per quanto ci riguarda, anche delle Sardegna.
BENIAMINO MORO
UNIVERSITÀ DI CAGLIARI