I 209 miliardi dell'Europa stanno suscitando molti appetiti e alimentando lo scontro politico nella maggioranza, sino ad arrivare alle minacce di crisi. Renzi teme che a gestire i soldi del Recovery plan sia una “task force sotterranea”, perciò chiede a Conte di cambiare metodo, se vuole restare a Palazzo Chigi.

Al quotidiano spagnolo El Pais il leader di Italia viva ha affidato parole dure, invitando il premier a «chiedere scusa» e a ritirare la proposta di una cabina di regia per la gestione dei fondi. Altrimenti, ha minacciato, «ci sono i numeri per eleggere un nuovo esecutivo». La ministra renziana Bellanova ha rincarato la dose, spiegando che la proposta di Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) del governo «presenta opacità, criticità, profili di incostituzionalità, che potrebbero compromettere la realizzazione del Piano».

Non meno insidiose sono le critiche sul piano economico. Per esempio, Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera sostiene che, per dare credibilità al Pnrr, «sarebbe utile lasciar perdere le banalità, cose certamente giuste ma che da anni i governi scrivono nei loro programmi senza poi riuscire ad attuarle, e invece dimostrare con qualche esempio concreto, meglio se scomodo, che c'è il coraggio di cambiare». In particolare, si chiede: «Siamo d'accordo che per crescere occorre allineare le retribuzioni alla produttività? E che la strada per mantenere il livello dei redditi nel Mezzogiorno è un aumento della produttività, non retribuzioni sussidiate?».

S e questo è vero - riflette ancora Giavazzi- «la fiscalità di vantaggio recentemente introdotta dal governo, cioè la riduzione di un terzo dei contributi sul lavoro per gli occupati al Sud, non è la strada giusta, perché sussidia occupazione a bassa produttività. Certo, consente di creare più posti di lavoro, ma questo è un obiettivo diverso da quello enunciato, cioè la crescita».

Tuttavia, sia la critica politica di Renzi che quella economica di Giavazzi sono ingenerose. Rispetto all'obiettivo di promuovere lo sviluppo e l'occupazione al Sud, non c'è infatti differenza tra la fiscalità di vantaggio recentemente introdotta dal governo (cioè la riduzione di un terzo dei contributi sul lavoro per gli occupati al Sud) e l'incentivazione degli investimenti privati sostenuta da Giavazzi con l'abbassamento delle tasse alle imprese, che lui considera una strada migliore.

Di fatto, la fiscalità di vantaggio fatta col taglio dei contributi è uno dei tanti modi di abbassare le tasse alle imprese, strumento col quale altri Paesi europei, come ad esempio l'Irlanda, hanno promosso il loro sviluppo economico negli ultimi decenni. Perché lo stesso strumento non potrebbe essere applicato allo sviluppo del Mezzogiorno?

Quanto alla critica di Renzi, occorre chiarire che la task force che ha scritto la proposta del Pnrr ha lavorato a stretto contatto con la corrispondente struttura tecnica della Commissione europea. Massimo Bordignon, un economista dell'Università Cattolica e membro dell'European Fiscal Board, il comitato di consulenza della Presidente della Commissione Europea, ha espresso il suo giudizio informale positivo in un recente articolo pubblicato sulla rivista “lavoce.com”. Il Pnrr, ha scritto Bordignon, «è ben fatto e coerente al proprio interno. Individua correttamente le molte debolezze del sistema Italia e specifica come le risorse europee possano contribuire a risolverle. I contenuti più specifici, come il riparto dei fondi per grandi aree, verranno ora giustamente sottoposti a esame critico da parte del Parlamento, ma l'impressione generale è favorevole».

Il dibattito che si è sviluppato in Italia, conclude Bordignon, «è francamente desolante. È tutto un fiorire di rimpasti, revisioni, nuove maggioranze tecniche o politiche, con pezzi dell'attuale maggioranza più critici verso il governo della stessa opposizione».

E invece, come suggerito giustamente da Mario Draghi, conta solo l'utilità del progetto, «se supera certi test che riguardano il suo tasso di rendimento sociale. Altrimenti è semplicemente il frutto di una convenienza politica e di clientelismo».

BENIAMINO MORO

UNIVERSITÀ DI CAGLIARI
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