A i tempi del coronavirus e dotati di smartphone: ovvero l'occasione e lo strumento per riscoprire, se mai ce ne fossimo dimenticati, che la tragedia convive spesso con la commedia. Che accanto a quello ufficiale esistono un secondo mondo e una seconda vita, e ci sono forme di comunicazione, anche breve e greve, organizzate essenzialmente sul principio del riso.

S i spiegano in questo modo i numerosi video, le foto e i montaggi parodici che accompagnano il nostro quotidiano, infarcito di bollettini della Protezione Civile e di attese ansiose di nuovi decreti e moduli di autocertificazione. Nulla sfugge alla satira, anche a quella fai da te.

Tanti si sono soffermati sul riso, perfino lo pseudo Democrito, ancor prima, dunque, dell'Aristotele del “De Anima”, tuttavia l'attenzione prepotente sulla presenza del riso nel Medioevo e Rinascimento è stata di Michail Bachtin che ha riconfermato Rabelais sul podio della letteratura. Lo scrittore francese, “apice del riso popolare e carnevalesco”, ha accolto nella sua opera la saggezza delle espressioni, dei proverbi e delle farse goliardiche, tale che lo studio della sua opera apre uno squarcio sull'evoluzione millenaria della cultura comica popolare, spesso incompresa.

Sempre Bachtin ricorda il duplice aspetto, tragico e comico, della percezione del mondo fin nei primordi della civiltà. In quel lontano folklore, accanto ai culti seri stavano quelli comici che irridevano e bestemmiavano le divinità: il riso rituale. Per questo, vicino agli eroi, coesistevano i loro sosia parodici. D'altra parte a Roma, anche nella fase statuale, durante la cerimonia del trionfo si celebrava e scherniva il vincitore. Lo stesso accadeva nei funerali: si rimpiangeva (ed esaltava) e, nel contempo, si derideva il defunto.

Oggi, in assenza di un Rabelais che porti a sintesi, con forza profetica, la buffoneria attuale, fanno da surrogato, con tempismo cadenzato, prassi comiche che consentono la messa in discussione del dogmatismo e del rigore unilaterale. Le nuove immagini e i video non rispondono ai principi di finitezza, stabilità e angusta rigidità riguardo alla concezione del mondo. Interpreti come mai di un tempo precario e fugace. Si assiste, con essi, all'irruzione del carnevalesco, una forma anch'essa reale, sebbene, si spera, temporanea, attraverso cui realizzare la rinascita su principi migliori con la liberazione dalle verità dominanti, e l'abolizione di regole e divieti. Non è strano, ma piuttosto connaturato a questi modi di comunicazione, che, proprio nel momento in cui di regole si vive, e dentro spazi fisici più angusti, si liberino energie e sentimenti senza i limiti spaziali che la rete consente. Oltre le barriere, dunque, e nella condivisione corale, nella vicinanza e ridefinizione del sociale che nessun decreto può impedire.

E così alcuni video raccontano ed esorcizzano la clausura forzata con l'intervistatore che, per esempio, domanda all'intervistato: “a causa del Coronavirus sei costretto alla quarantena, ma hai una scelta: A) Preferisci stare a casa con moglie e figli o B)…". Senza esitazione, e senza attendere l'alternativa, il condannato alla clausura risponde B. Viceversa, un premier invecchiato sollecita, nell'aprile del 2050, il piccolo sforzo di restare qualche giorno a casa. Ed ecco anche la foto di un balcone crollato con lo striscione “Andrà tutto bene”: un ossimoro! oppure l'immagine di numerosi panetti di cocaina: gli aiuti dalla Colombia contro il dilagare del virus.

È il racconto di un mondo alla rovescia, della ruota e delle sue rivoluzioni, con detronizzazioni burlesche riguardo a nomi e scelte della politica nazionale, internazionale e regionale, accompagnate dalla mutevolezza del volto e dall'ostentazione fallica, quando pare il caso, con abbassamenti e profanazioni. Un riso gioioso e beffardo, che nega e afferma, sotterra e resuscita. Il talismano per sopravvivere.

ANGELA GUISO

CRITICA LETTERARIA
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