U n ministero tormentato, quello della Pubblica Istruzione, tra le recenti dimissioni di Fioramonti, l'accusa di plagio della sua sostituta Azzolina e, in ultimo, lo scandalo della scuola romana divisa per censo. E intanto a poco servono le parole di dolore e gli accenti d'ira per la formazione carente dei ragazzi, immemori in tanti che la discesa nel baratro dell'ignoranza è stata preparata da tempo. Per i più pessimisti come il Ricolfi della “Società signorile di massa” fin dagli anni '60, dall'epoca della scuola media unificata, quindi dall'apertura dell'Università ai figli del popolo ma, soprattutto, da quando è stata data l'illusione che il sapere e le competenze fossero di quanti raggiungevano una valutazione anche solo sufficiente.

Posto che questo sia vero, è indubbio che la scuola di massa abbia dato l'opportunità a molti, destinati altrimenti al ruolo di reietti, di mostrare capacità e genio. È invece inconfutabile che ai vertici del ministero della Pubblica Istruzione siano spesso transitati i ministri più vari con le riforme più disparate. In ogni caso l'ultimo rapporto OCSE riferisce che l'Italia destina solo il 3,6% del suo Pil all'istruzione contro una media OCSE del 5%.

Già Claudio Tucci, sul Sole del 17 aprile 2011, parlava di un risparmio di 8 miliardi di euro per il taglio (dal 2009 al 2011) del personale insegnante e non. Il ministero era allora guidato da Mariastella Gelmini. A livello regionale sarebbero state la Campania e la Sicilia le prime a subire le conseguenze di quei tagli. Sesta la Calabria. (...)

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