C i accerchiano, noi sardi, anche con avvisi di garanzia scaduta. Non si bada all'autonomia sottratta e nemmeno alla continuità territoriale a lungo vagheggiata. Ci vogliono soggetti alle leggi dei mercati europei. Che siano malcapitati suini ogliastrini o allevatori sull'orlo di una crisi di nervi, la pista indicata dai signori della finanza vuole intingere gli indici nell'inchiostro della legge.

Schedati. Mandati al macero delle condanne per ripicca. Vorrei non si fossero mai ritirati i pastori, quel febbraio scorso, apposta per vedere come lo Stato avrebbe provato ad arginare una fiumana che ci metteva il viso e le buone ragioni. All'improvviso, qualcuno in odore di seggi, se ne venne dal continente promettendo adeguamenti, poi proseguì le trattative saltando da un tavolo all'altro, fino al rinvio sui banchi di Roma che puzzava d'imbroglio premeditato. Si cercava a tutti i costi un capo cui addossare la responsabilità dell'accordo finale. Il danno collaterale sarebbe emerso come tentativo di rivolta violenta ai titoli di coda. Fu la fine impietosa di una bellissima sollevazione popolare che aveva costretto un governo a trattare.

E fu costretto a farlo guardando in viso i protagonisti. Isolani indomiti apparsi dall'anonimato di quelle campagne apparentemente morte che invece ribollivano di grandissimo ardore. L'errore, l'unico, marginale, fu scendere alla protesta come una guerra all'ingiustizia. Ci fu mestizia, talvolta, ad accogliere certi episodi come malaugurati inconvenienti. Ma non ci fu una maggioranza che tacque.

A più riprese i promotori del movimento, invero tutti i pastori, giacché l'esperimento di autonomia rivelò una coesione di là da strategie pianificate, condannarono i gesti isolati e raccomandarono coerenza. I pastori, la gente, tutti vollero mettere alle strette quel sistema che perpetra raggiri per farsi bello alla corte europea.

Non fu chiaro un tema. Probabilmente non fu chiaro agli stessi pastori. Venne fuori un sentimento di appartenenza e attaccamento rimasto sopito forse per decenni. Forse dai tempi di Pratobello. Solo in quel momento i sardi, finalmente uniti, si resero conto di appartenere a una terra, la loro, che rivendicava a gran voce i diritti di tutti, senza distinzione. Le scuole, gli uffici, i paesi, gli anziani, i bambini, ciascuno diede manforte portando le proteste al livello di massimo splendore. Alcuni pastori scesero fino a Cagliari e misero in atto lo schiaffo morale che fece arrabbiare i governanti, solo falsamente indispettiti dai blocchi stradali messi in scena sull'infelicissima dorsale isolana. I pastori, infatti, non andarono a protestare sotto il palazzo, bensì presero udienza dai calciatori privilegiati a pretendere un gesto, una dimostrazione di coerenza all'isola.

Perché? Molti si chiesero. Qual era il senso di coinvolgere estranei alla protesta? I pastori giocavano una partita che esigeva la massima resa col minimo coinvolgimento di gesti clamorosi. D'altronde erano tutti pronti con il dito puntato. “Il pastore bandito è riapparso sulla scena”. Niente affatto. Venne fuori qualcosa di veramente unico che ebbe grandissima eco altrove, ben lontano da dove le cronache cercavano di capitalizzare spostando l'adesione volontaria verso il reclutamento di forza bruta. Quel che allontana l'uomo dall'istituzione è, infine, la coazione a perpetrare sempre gli stessi inganni a distanza di anni dagli episodi ormai mandati a memoria. Non fu chiara quella rivolta che dimostrava come a scendere in campo, e perdere, fosse anzitutto l'affidabilità politica di istituzioni assenti, sconfitte, costrette a usare la strategia da colpo di Stato sudamericano per venire a capo di un popolo unito da un vento irriducibile.

Mi piacerebbe si risolvesse quest'alterco dei tempi. I venti non sospingono all'unità delle nazioni. I crateri indotti dall'inevitabile Brexit comporteranno un crollo degli assi continentali. Tornerà il tempo delle radici. Torneranno i popoli. I popoli già esistono e vibrano sotto la coltre di tecnocrazia ideologica. Il Febbraio Sardo fu un petardo che risuonò come un fulmine nel cuore d'Europa. Qual è il discrimine? L'inquisizione. Gli irriducibili diventano temerari perfino davanti ai tribunali. Si prepara la difesa. E non basterà Torquemada. Un battito d'ali in Sardegna scatenerà il terremoto a Bruxelles.

ANDREA MEREU

OPERATORE CULTURALE A LONDRA
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