“Vox Populi, Vox Dei”, ossia “voce di Popolo voce di Dio”. Così recita un antico adagio per il quale, in buona sostanza, la verità di una certa cosa può essere per così dire stabilita quando il Popolo, e comunque la maggioranza dello stesso, è concorde nell’affermarla. Negli Stati Uniti d’America, il 5 novembre appena trascorso, individuato come “election day” (giorno delle elezioni), il Popolo ha espresso la sua preferenza, e Donald Trump ha prevalso sulla rivale Kamala Harris diventando il quarantasettesimo Presidente.

E non si pensi che il Partito Democratico di oltre oceano abbia semplicemente e puramente “sbagliato” competitor. E neppure si potrebbe pensare che la permanenza nella competizione elettorale di Joe Biden avrebbe fatto oggi la differenza. Non sembrerebbe essersi trattato di una questione di candidature perché così facendo si rischierebbe di guardare al dito e non alla luna, per così dire.

All’evidenza, la proposta politica del candidato repubblicano, Donald Trump, e del suo potentissimo sostenitore il cui ruolo parrebbe essere stato determinante, ha saputo interpretare le preoccupazioni della popolazione, e solo su questo occorre riflettere. Dicendolo altrimenti, la prospettiva/promessa di porre fine ai conflitti post pandemia quasi “tout court”, che in maniera importante sembrerebbero aver inciso in negativo sull’economia globale negli ultimi due anni, quella non meno importante di “gestire” i flussi migratori, oltre che quella di assicurare sgravi fiscali ai lavoratori, hanno saputo fare breccia nel cuore degli americani dirigendone inequivocabilmente le scelte. Il punto, inoltre, anche a tutto voler considerare, parrebbe essere anche un altro, e certamente non sembrerebbe riguardare, in se e per se, la figura soggettiva del Presidente degli Stati Uniti neo eletto, e/o della sua competitor, o il profilo geografico degli Stati Uniti all’interno del quale andrà ad esprimersi la azione politica del nuovo Presidente, e la cui Popolazione si è legittimamente espressa nello sceglierlo.

Più precisamente sarebbe importante interrogarsi più approfonditamente, al di là degli entusiasmi della destra europea si intenda (e che non parrebbero tener conto delle differenze sul piano politico, su quello giuridico e forse anche su quello istituzionale che governano rispettivamente gli Stati Uniti e il Continente Europeo) quale significato quella vittoria, e quali conseguenze, possa riverberare per tutti i Paesi del Mediterraneo e non solo. Anche perché la “destra” (se si voglia usare siffatta locuzione) di Donald Trump, espressione del partito repubblicano di oltre oceano, potrebbe non coincidere, e probabilmente non coincide, con le differenti “destre” europee.

Le politiche di Donald Trump, in particolare, parrebbero quasi avere un’ispirazione progressista laddove si consideri che mentre il Partito Democratico di oltre oceano, come da più parti evidenziato, pare essere divenuto nel tempo fortemente attrattivo per le classi borghesi, al contrario, il partito di Donald Trump è riuscito a captare il consenso delle classi meno ricche promettendo loro un prossimo futuro finanziario migliore, benché di difficile attuazione.

Il presidente francese Emmanuel Macron, secondo quanto riportato dagli organi di stampa, nell’esprimere la sua consueta lungimiranza, e al di là del proprio credo politico e ideologico, sembrerebbe non aver fatto attendere le sue riflessioni sul punto, sottolineando la necessità/opportunità di promuovere una sovranità europea, sia in campo economico che nel settore della difesa. E non certo a caso. Tanto più, allorquando, non sembrerebbe potersi fare affidamento su potenziali punti di contatto tra Unione Europea e Stati Uniti in ordine ai rapporti con la Cina, siccome anche la Cina di Xi potrebbe trarre qualche vantaggio da un secondo mandato di Trump, considerata la posizione di quest’ultimo rispetto alla NATO. Circostanza, quest’ultima, che parrebbe contribuire a rendere piuttosto incerto il divenire politico e gestionale della seconda amministrazione dello stesso Donald Trump.

Intanto, perché sarebbe forse illusorio, sebbene i leader sovranisti europei appaiano speranzosi sul punto, ritenere sic et simpliciter che la linea politica di Donald Trump, e del suo potentissimo sostenitore, possa incidere, ostacolandolo, sull’indirizzo e sull’agenda di Bruxelles su temi finora ritenuti imprescindibili, quali la irrogazione di sanzioni contro la Russia ed il Green Deal. Quindi, perché in materia di immigrazione illegale, la situazione al di qua ed al di là dell’Oceano è assai differente e foriera di conseguenze assai complesse se rapportata all’una o all’altra realtà politica ed economica. Infine, perché, Donald Trump, parrebbe aver dichiarato che, nell’ipotesi di sua vittoria, avrebbe portato il suo impegno fattivo per porre fine alla guerra russo-ucraina ancor prima di entrare in carica nel prossimo mese di gennaio, essendosi più volte lamentato del costo del sostegno prestato a Kiev, ma senza tuttavia rendere note le modalità del suo intervento. Un interrogativo allora avanza: per costruire un percorso di pace, semmai davvero (e la formula dubitativa si impone) Donald Trump dovesse riuscire nel suo intento, era davvero necessario attendere gli esiti dell’election day americana? Il “come” di Donald Trump troverà la corresponsione ideologica anche in ambito europeo che finora ha guardato al conseguimento di una “pace giusta”?

Anche la semantica relativa alla pace necessita di una sua precisa espressione grammaticale, scevra da qualsivoglia potenziale intento non dichiarato, soprattutto laddove si voglia considerare che l’unico organismo veramente deputato a risolvere in modo pacifico le controversie belliche internazionali sarebbe l’ONU. Insomma, “beato quel popolo che non ha bisogno di eroi”. Oggi più che mai l’esortazione proveniente da Emmanuel Macron andrebbe ascoltata e realizzata, al di là del colore politico espressione dei singoli Stati Membri, perché l’Unione Europea deve, con buona approssimazione e verosimiglianza, poter esprimere nel contesto geopolitico globale, il suo “potenziale contrattuale” se così volessimo semplicemente definire il suo potere di intervento fattivo nelle relazioni internazionali.

Allo stato, e mutatis mutandis, difficilmente, le politiche di Donald Trump, specie in materia di immigrazione illegale, potranno incidere sul piano giuridico vigente nell’Unione Europea. Non resta che attendere.

Giuseppina Di Salvatore – Avvocato, Nuoro

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