Dopo settimane di campagna elettorale da incubo, Joe Biden si ritira dalla corsa alla Casa Bianca.

Lo annuncia in una storica lettera rivolta ai cittadini americani e pubblicata su X: «È stato il più grande onore della mia vita servire come presidente. E anche se era mia intenzione cercare la rielezione, credo che sia nel miglior interesse del mio partito e del Paese di ritirami e concentrarmi solamente sui miei compiti come presidente per il resto del mandato». 

Il presidente passa quindi il testimone alla sua vice Kamala Harris: «La mia primissima decisione come nominata del partito nel 2020 è stata quella di scegliere Kamala Harris come mia vicepresidente. Ed è stata la migliore decisione che ho preso. Oggi voglio offrire il mio pieno sostegno e il mio appoggio affinché Kamala sia il candidato del nostro partito quest'anno. Democratici: è ora di unirsi e battere Trump. Facciamolo».

La notizia era attesa, dopo la debacle al primo confronto con Donald Trump, i sondaggi disastrosi e le numerose pressioni per un suo passo indietro. Il tentato assassinio di Donald Trump sembrava aver calmato le polemiche, o almeno distratto l'attenzione. Negli ultimi giorni però la pressione è tornata a salire e Biden alla fine ha ceduto. La numero due del presidente è la scelta più ovvia e inevitabile, essendo la sua erede naturale, anche in caso di morte o malattia durante la presidenza. Ma il percorso per Harris, da qui alla convention, è tutt'altro che in discesa e sulla sua strada verso la candidatura alla Casa Bianca saranno tanti gli ostacoli. «Sono onorata dell'endorsement di Joe Biden, mi guadagnerò la nomination e batterò Trump», dice la prima vicepresidente afroamericana della storia, che, secondo la Cnn, ha saputo della decisione solo oggi, quando si sono sentiti al telefono "diverse volte" nel corso della giornata. 

I leader del partito democratico e i donatori alla fine sono riusciti a mettere Joe Biden all'angolo, spingendolo a ritirarsi dopo il disastroso dibattito contro Donald Trump. Dal 27 giugno del faccia a faccia con il rivale, il presidente si è battuto come un leone per rilanciare la sua immagine agli occhi degli americani e del partito. I suoi sforzi - fra interviste e contatti ravvicinati con il pubblico - non hanno però sortito l'effetto sperato: le richieste per il ritiro non sono rallentate, anzi sono aumentate.

E se Biden è stato in grado di reggere al pressing di alcuni deputati, nulla ha potuto contro Barack Obama, che oggi lo ringrazia e lo definisce «un mio amico e partner, un patriota», ma anche contro Nancy Pelosi, Chuck Schumer e Hakeem Heffries. Loro, i pesi massimi del partito, preoccupati da sondaggi sempre più catastrofici che assegnano a Trump praticamente tutti gli Stati chiave in vista di novembre, hanno segnato il destino di Biden. Pubblicamente non si sono mai schierati contro il presidente: hanno mantenuto il silenzio, come quello assordante di Obama, o hanno mandato avanti altri. Il 10 luglio anche George Clooney, uno dei maggiori donatori democratici e amico di Obama, gli aveva chiesto di lasciare.

La campagna coordinata - solo i Clinton erano con Biden - ha però ottenuto l'effetto desiderato, complice anche lo zampino dei donatori che hanno chiuso i rubinetti facendo mancare alla campagna del presidente la linfa per proseguire. I ripetuti contatti fra Pelosi e Obama, trapelati con indiscrezioni, sono stati per Biden un chiaro segnale della morsa che si stava stringendo su di lui, istigata - secondo la sua campagna - dall'ex speaker della Camera e con il suo ex capo come burattinaio. 

Joe Biden sarà ricordato «come il peggior presidente nella storia del nostro Paese» e la sua vice Kamala Harris «sarà ancora più facile da battere», la reazione di Trump pochi minuti dopo l'annuncio del ritiro, rilasciata con una telefonata alla Cnn, la tv americana a lui più ostile. Poi sul suo social Truth sostiene che tutti sapevano sin dall'inizio dell'inadeguatezza del leader dem a guidare il Paese: «Il disonesto Joe Biden non era idoneo a candidarsi alla presidenza, e certamente non è idoneo a servire - e non lo è mai stato! Ha raggiunto la posizione di presidente solo grazie a bugie, notizie false e senza lasciare il suo seminterrato. Tutti coloro che lo circondavano, compreso il suo medico e i media, sapevano che non era in grado di essere presidente, e non lo era». Quindi un attacco su uno dei suoi cavalli di battaglia, l'invasione dei migranti alla frontiera col Messico: «E ora, guarda cosa ha fatto al nostro Paese, con milioni di persone che attraversano il nostro confine, totalmente incontrollate, molte provenienti da carceri, istituti psichiatrici e un numero record di terroristi. Soffriremo molto a causa della sua presidenza, ma rimedieremo molto rapidamente ai danni che ha causato. Facciamo l'America di nuovo grande». Il tycoon ne ha approfittato anche per incrementare la raccolta fondi tra i suoi fan, con una email della sua campagna in cui chiede a «milioni di patrioti pro-Trump di contribuire» con donazioni alla sua corsa: «Oggi facciamo la storia».

(Unioneonline/D)

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