«Gli attacchi contro le forze di pace sono una violazione della legge internazionale e del diritto umanitario» e «Potrebbero essere dei crimini di guerra». Così si è espresso Antonio Guterres quale Segretario Generale dell'Onu. Emmanuel Macron e Pedro Sanchez hanno condannato fermamente gli attacchi dell’esercito israeliano contro le truppe Unifil in Libano. In particolare, come riportato dalla Agenzia di Stampa Ansa, tanto il Presidente francese quanto il Primo Ministro Spagnolo parrebbero condividere l’aspetto sostanziale di una decisione che sembrerebbe non potersi affatto trascurare, ossia quella per cui “bisogna cessare la vendita di armi a Israele … per mettere fine ai conflitti”.

Giorgia Meloni, a sua volta, ha voluto sottolineare che l’atteggiamento assunto da Israele appare «inaccettabil (e)» siccome «viola (…) la risoluzione 1701 dell’Onu» la quale vieta espressamente la presenza di armamenti e di cosiddetti miliziani irregolari nel sud del Libano.

Del resto, tutti gli Stati devono assumere un impegno costante nel garantire il rispetto del diritto internazionale umanitario da parte di coloro che fossero coinvolti in conflitto armato, come previsto dalle Convenzioni di Ginevra del 1949 e dal diritto internazionale consuetudinario. Dall’altra parte, tuttavia, Benyamin Netanyahu, nel contesto di una dichiarazione, si sarebbe rivolto al Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres per significare che la missione Unifil ostacolerebbe le operazioni militari contro i combattenti filo-iraniani di Hezbollah, sostenendo essere «giunto il momento di rimuovere l'Unifil dalle roccaforti e dalle aree di combattimento di Hezbollah». Questa dunque la situazione a quanto parrebbe apprendersi.

Che dire? Sembrerebbe quasi un paradosso nel paradosso. Da peacekeepers a inconsapevole obiettivo militare parrebbe un attimo, qualcuno potrebbe esclamare. Occorrerebbe capire senza fermarsi alla mera dichiarazione di Benjamin Netanyahu , detto Bibi, rivolta al Segretario Generale delle Nazioni Unite.

Una dichiarazione quasi drammaticamente banale pur nell’effetto sconvolgente del suo contenuto. In buona sostanza, stando a quanto si sarebbe compreso nelle ultime ore, Bibi, attraverso le azioni militari rivolte contro i caschi blu, vorrebbe perseguire l’obiettivo di avere il campo libero per avere la meglio negli scontri con Hezbollah, acuitisi nell’ultimo periodo. Vorrebbe, insomma, per quanto parrebbe, ritenersi quasi “legibus solutus”, ammesso e certamente non concesso, che tale possa mai essere considerato dalla Comunità Internazionale. Tanto più allorquando Benjamin Netanyahu sia pervenuto addirittura alla decisione di rivolgere quelle stesse armi fornite dall’Occidente contro i suoi stessi sostenitori.

E pensare che nell’oramai lontano 1984 venne nominato da Yitzhak Shamir Rappresentante Permanente di Israele alle Nazioni Unite e conservò la carica per ben quattro anni. Sarebbe importante, allora, e probabilmente, ripercorrere mentalmente il pensiero politico di Netanyahu, quanto meno per cercare di comprendere l’ideologia e la strategia adottata nella circostanza attuale.

E se si trattasse, con riferimento all’azione attuale, di un atto di autodeterminazione? «Peut-être», direbbero i francesi adoperando la formula dubitativa. Ma se non fosse solo autodeterminazione, per così dire, esterna ma fosse invece anche e soprattutto una espressione di autodeterminazione cosiddetta interna quasi, appunto, a volersi ritenere “sciolto” da ogni condizionamento (se avvertito davvero come tale) degli Alleati occidentali per affermare la centralità della sua figura politica?

La sua tattica potrebbe forse essere compresa analizzando i segnali formali che attraverso le sue azioni si traducono dallo stato di potenza a quello di atto pratico a sua volta, forse, espressivo di un disegno politico grosso modo contraddittorio nella sua pericolosità. Non si dimentichi che la Blue Line rappresenta la linea di demarcazione tra Israele e Libano fissata nell’oramai lontano 7 giugno dell’anno 2000 dall'Onu. E la sicurezza della Comunità Internazionale nella sua interezza non appare altrimenti e/o diversamente negoziabile: la sicurezza resta l’alfa e l’omega di ogni azione e deliberazione. Anche perché se l’agire di Benjamin Netanyahu dovesse condurre ad una scelta dicotomica (l’ipotesi è solo argomentativa) tra la sicurezza e la stabilità della Comunità Internazionale e la sopravvivenza di Israele, la scelta potrebbe essere con buona verosimiglianza obbligata.

Fin dove vorrebbe spingersi allora Tel Aviv? I dati di fatto non parrebbero potersi ignorare. Israele ha voluto estendere la sua offensiva militare lungo il confine meridionale del Libano in violazione della richiamata Risoluzione. Non parrebbe neppure potersi immaginare un nuovo periodo buio per la sicurezza delle popolazioni.

Benjamin Netanyahu non può in alcun modo risultare a tal punto “condizionante” con il suo agire da rischiare di trascinare l’Occidente tutto in uno scontro tra civiltà: la pace, come più volte ribadito da Papa Francesco con appelli semplici nel loro significato quanto accorati, va preservata e perseguita con determinazione. Un pensiero forte che andrebbe tradotto quanto prima in realtà al di là ed oltre ogni considerazione.

Più che mai parrebbero accrescersi le preoccupazioni sulle modalità con cui il governo israeliano starebbe conducendo le proprie operazioni militari, e quanto accaduto da ultimo altro non sembrerebbe sortire se non una impennata del margine del dissenso rispetto alle sue scelte politiche.

Non più tardi del mese di ottobre dello scorso anno, Ursula Von der Leyen e Roberta Metsola, in visita in Israele, all’incontro con Benjamin Netanyahu avevano manifestato il massimo sostegno rispetto all’attacco subito. Oggi l’Unione Europea sembrerebbe dover assumere una posizione unanime per deliberare ogni migliore soluzione a quanto accaduto in danno della missione Unifil.

Giuseppina Di Salvatore – Avvocato, Nuoro

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