“Jackie, sei qui? Dov’è Jackie?”. 

Gelo in sala per l’ennesima gaffe del presidente americano Joe Biden che, durante un intervento a una conferenza sull’obesità e l’insicurezza alimentare, cercava con lo sguardo una deputata repubblicana dell’Indiana, Jackie Walorski. Che però è morta lo scorso agosto in un incidente stradale.

È stata, questa, solo l’ultima di una lunga serie di figuracce nel curriculum del democratico, che non ha mai negato con una certa dose di autoironia di essere una “gaffe machine”.

E difatti in cinquant’anni di onorata carriera politica, fin da quando era senatore del Delaware e poi vicepresidente con Barack Obama, è riuscito a collezionare un elenco senza fine di clamorosi errori, frasi sconvenienti, inopportune, che quando va bene si limitano a strappare una risata, quando va male rischiano di scatenare una guerra nucleare. Come quando definì il presidente russo Vladimir Putin prima “un macellaio”, poi “un tiranno con le ore contate”, ancora un “criminale di guerra” che non poteva “restare al potere”, lasciando intendere di suggerire un cambio di regime al Cremlino. Oppure quando sostenne che gli Usa sarebbero intervenuti militarmente in difesa di Taiwan, rompendo decenni di “ambiguità strategica” dei suoi predecessori sull’isola contesa dalla Cina.

Non è un mistero che il suo staff se ne faccia una malattia, sapendo che in ogni momento potrebbe essere chiamato a dover mettere una toppa su parole sconsiderate. Nel caso di Putin criminale di guerra, ad esempio, fu detto che si trattava di un suo parere personale e “non legale”. “Ogni volta che Biden dice quello che pensa davvero, l’esercito della pulizia inviato dalla Casa Bianca si affretta a sostenere che non voleva realmente intendere quello”, spiega Peter Baker del New York Times. O che magari tutto sommato quello che ha in mente non cambia in alcun modo la linea politica dell’amministrazione. Un controsenso non da poco, considerando che il capo della sua amministrazione è proprio lui. Come ripetono gli analisti, un conto è “straparlare” quando si è senatore e, tutto sommato, anche vicepresidente. Un altro quando si è presidente: ogni espressione pronunciata viene passata al setaccio da politici, diplomatici e agenzie di intelligence di tutto il mondo, con l’obiettivo di leggerne le mosse future. 

Purtroppo, o per fortuna, è più forte di lui, Biden non riesce proprio ad attenersi al “copione”: si fa prendere la mano, cerca la battuta a tutti i costi. Lanciando la sua campagna presidenziale del 2008, descrisse l’allora giovane senatore Obama come "il primo afroamericano in politica eloquente, brillante, pulito e di bell'aspetto". Un complimento che si trasformò inequivocabilmente in uno scivolone razzista. Sempre durante la campagna presidenziale del 2008, in un comizio in Missouri si rivolse entusiasta a un senatore locale ripetendo più volte: "Dai alzati Chuck! Fatti vedere, goditi i meritati applausi. Alzati!". Ebbene, Chuck Graham era paraplegico. All'ex premier irlandese Brian Cowen, nel giorno di San Patrizio del 2010 disse: "Sua madre ha vissuto per 10 anni a Long Island, che riposi in pace...". Ma la madre di Cowen era viva e vegeta.

Ancora, nel 2019, durante una riunione di raccolta fondi arrivò a dire che "Margaret Thatcher è seriamente preoccupata per gli Stati Uniti sotto la guida di Donald Trump", riferendosi chiaramente all’ex premier inglese Theresa May e non alla Lady di Ferro che governò il Regno Unito dal 1979 al 1990.

Anche gli errori più innocui - come quando affermò che l’amministrazione Obama era concentrata su “una parola di tre lettere: J-O-B-S, posti di lavoro”, o quando confuse la Svezia con la Svizzera, o lesse il gobbo alla lettera con tanto di “fine citazione” e “ripetere pausa” – lo rendono facile vittima e preda delle critiche dei suoi oppositori. “Sleepy Joe”, lo ha ribattezzato l’ex presidente Donald Trump, sottolineando che alla sua età, 79 anni, non è in grado di guidare il mondo libero. Figuriamoci se dovesse avere in mente di ricandidarsi nel 2024, quando di anni ne avrà 82. “È spericolato e imbarazzante”, le parole di Tommy Hicks Jr., co-presidente del Comitato Nazionale Repubblicano e stretto collaboratore di Trump.

Non che Trump non si sia mai messo nei guai con frasi al limite, minacciando la guerra con la Corea del Nord, il Venezuela e l’Iran, rendendo tesi i rapporti con storici alleati americani come Germania, Canada e Corea del Sud, e difendendo lo stesso Putin.

Per l’attuale inquilino della Casa Bianca, che ci ha abituato a toni meno incendiari del suo predecessore, non manca chi vede nelle sue gaffe  un segno di spontaneità e onestà. "Biden – sostiene David Axelrod, consigliere senior di Obama – è sempre stato più aperto sul suo pensiero della maggior parte dei politici, la sua forza è l’autenticità”. In altre parole, prese in prestito dell'editorialista Michael Kinsley: “Una gaffe è quando un politico dice la verità, una verità ovvia che però non dovrebbe dire”.

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