Un quadruplice omicidio che sostiene di non avere mai commesso, ma che l'ha portato a subire sei processi e a restare nel braccio della morte per oltre vent'anni.

Curtis Giovanni Flowers, con ogni probabilità il carcerato più perseguitato d'America e la cui incredibile storia ha fatto a lungo discutere l'opinione pubblica internazionale, torna finalmente a casa.

Contro di lui si era scagliata la furia del procuratore distrettuale Doug Evans, l'uomo che per 20 anni ha provato senza sosta a far condannare Flowers ma che si è visto rispedire indietro tutte le condanne.

La svolta nell'estate scorsa, quando il suo caso sbarca a Washington, alla Corte Suprema degli Stati Uniti. La condotta di Evans viene fatta a pezzi e finisce 7-2, con tre giudici conservatori che votano assieme ai liberal. "Condotta palesemente discriminatoria della pubblica accusa, un caso disturbante", scrivono i giudici, e questo perché il procuratore si scopre ha "fatto fuori" i membri neri delle giurie per tutta la sua carriera.

A segnare il colpo di scena e a garantirgli la libertà su cauzione anche un celebre podcast, dal titolo “In the Dark”, sedici puntate prodotte da American Public Media, in parte finanziate dal fundraising in cui si sgonfia ogni presunta prova, anche attraverso interviste a testimoni rivelatisi inattendibili, e in cui si stana un possibile colpevole alternativo. Un lavoro enorme e dettagliato, che ha valso al podcast il prestigioso Polk Award.

Il caso è relativo a una strage in un negozio di mobili a Wynona, nel Mississippi, con 4 morti tra dipendenti e clienti, per cui i sospetti vengono subito indirizzati su Curtis Giovanni Flowers, ex dipendente appena licenziato per banali negligenze.

In uno stato in cui bianchi vivono ancora da una parte e i neri dall'altra l'opinione pubblica punta il dito contro l'allora 26enne afroamericano: "È lui: voleva vendicarsi", si dice.

Le sue impronte vengono identificate fra il sangue delle vittime, e a suo carico anche la detenzione di alcuni proiettili compatibili con l’arma. Ma nulla più.

Una storia, dunque, che pare solo stata costruita per risarcire una comunità sconvolta. E per cui ogni processo ribalterà le accuse.

Ora il felice epilogo, e l’uomo potrà finalmente tornare a riabbracciare quella figlia piccola lasciata sola 23 anni fa.

(Unioneonline/v.l.)
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