"Un fallimento da incompetenti nel preparare il Paese alla realtà dell’era Brexit”. E’ spietato il commento del Telegraph sulla drammatica crisi di carburante che sta mettendo in ginocchio l’Inghilterra di Boris Johnson.

Tutto è iniziato lo scorso weekend, quando la British Petroleum ha annunciato la chiusura di alcune stazioni di rifornimento per mancanza di autotrasportatori da carburante. La Gran Bretagna non è del tutto a secco, ma l’annuncio ha scatenato la corsa all’accaparramento da parte degli automobilisti in preda al panico: lunghe code, sotterfugi per saltarle e risse.

Difficoltà logistiche provocate dalla Brexit: non ci sono conducenti a sufficienza per far arrivare abbastanza autocisterne nei distributori, mancano all’appello oltre 100mila camionisti, europei tornati a casa per via del Covid o per le difficoltà burocratiche introdotte dalla Brexit, per non parlare delle chilometriche code sulla Manica dovute sempre all’uscita del Regno Unito dalla Ue.

Quindi nel weekend è scattato il panico, con gli automobilisti che hanno preso d’assalto i distributori per paura di restare senza carburante. Il risultato? Molte stazioni di servizio hanno esaurito le scorte, e anche se il governo predica la calma e dice che ce n’è per tutti, la gente ormai non si fida e si è innescata una spirale difficile da tenere sotto controllo.

Ovviamente la crisi ha innescato anche un aumento dei prezzi: il prezzo medio di un litro di benzina è aumentato da 135,87 pence a 136,59 in 48 ore.

C’è chi pensa che la crisi si risolverà in pochi giorni, ma i problemi di approvvigionamento e la mancanza di camionisti sono un problema ormai endemico nell’Inghilterra del post Brexit. Infatti Boris Johnson da un lato sta mobilitando l’esercito, ma ci vorrà tempo per formare i militari e metterli alla guida delle autocisterne. Dall’altro sta facendo dietrofront sulla politica dei visti: il governo ha lanciato un’offerta di visti temporanei a 5mila autisti stranieri di autocisterne e camion alimentari (oltre a 5.500 lavoratori avicoli).

Già, perché un altro rischio è che il tacchino non arrivi sulle tavole natalizie dei britannici. Sia per il solito problema dei camionisti che per la crisi dell’agricoltura e dell’allevamento. Tante persone impiegate nel settore, infatti, hanno dovuto lasciare l’Inghilterra dopo la Brexit.

Ma un permesso temporaneo è sufficiente per allettare i camionisti? Molti pensano di no, perché si tratterebbe di lavorare in Gran Bretagna per soli tre mesi.

Il sogno della Brexit e dei sovranisti (“Solo immigrati qualificati”, magari medici, scienziati, ingegneri, così annunciava il governo), insomma, si sta rivelando un incubo.

(Unioneonline/L)
 

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