Dieci sarebbero i punti programmatici annunciati da Ursula von der Leyen nel corso della sua visita a Lampedusa in compagnia del Presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Dieci parrebbero essere le tipologie di intervento annunciate inerenti i differenti aspetti del fenomeno dell’immigrazione che, invero, e probabilmente, si sarebbero potuti porre in essere, e materializzare, non solo nel corso degli anni addietro, essendo la problematica ben nota, ma quanto meno, anche a tutto voler concedere, fin dall’indomani della sottoscrizione, nel mese di luglio appena trascorso, del cosiddetto “memorandum” di intesa con la Tunisia per la lotta ai traffici illegali di migranti.

Perché, intendiamoci, nulla quaestio, in linea teorica, sulla annunciata volontà (e dovranno conseguire le azioni concrete da parte della Unione) di voler procedere nel senso della intensificazione degli sforzi della stessa Unione Europea per il trasferimento dei migranti da Lampedusa verso altre destinazioni, sollecitando nel contempo i Paesi Membri ad attivare il meccanismo volontario di solidarietà per accoglierli, ma nulla è stato detto, e neppure timidamente annunciato, rispetto al “modus operandi” che, la Presidente della Commissione, intenda porre in essere, o anche solo suggerire, per rendere attuabili in concreto i diversi “trasferimenti” la cui gestione, all’evidenza, lungi dal poter essere lasciata alla “sensibilità” e/o iniziativa spontanea degli altri Paesi Membri, dovrebbe invece divenire una regola incontrovertibile senza la quale (come pare agevole comprendere), tutto potrebbe essere destinato a restare lettera morta, con ogni comprensibile conseguenza anche sul piano della efficienza dell’annuncio.

Allo stesso modo, non parrebbe esservi alcun elemento di novità, perlomeno in linea teorica, nella affermazione della Presidente von der Leyen allorquando quella affermazione, nel suo contenuto sostanziale, si sia limitata, tra l’altro, a sottolineare la intenzione di voler offrire alternative valide alle rotte illegali attraverso una opera di rafforzamento dei cosiddetti corridoi umanitari, quale «misura più efficace per contrastare le bugie dei trafficanti e spezzare il circolo vizioso».

Detto altrimenti: cosa avrebbe impedito nel corso degli anni addietro, essendo stato più volte invocato dalla politica italiana, di procedere alla attivazione dei corridoi umanitari e che ad oggi sarebbe un impedimento superato rendendo possibile la attuazione del meccanismo? Meglio precisando: non sembrerebbe essere stato indicato da Ursula von der Leyen il “come” finalisticamente orientato alla attuazione concreta dei dieci punti annunciati che, invero, sul piano dei contenuti in sé e per sé considerati, non parrebbero contenere elementi di novità. Intanto, perché, a rendere assai complessa la gestione dei rimpatri dei migranti irregolari, sembrerebbe essere stata proprio la difficilissima cooperazione con i Paesi di Origine cui all’attualità, il Governo italiano parrebbe intendere affidare la gestione delle partenze attraverso accordi bilaterali. Quindi, perché, salvo errore, fino ad oggi, parrebbe proprio che le diverse azioni poste in essere dalla Unione Europea per favorire la cooperazione in materia di riammissione, per quanto tecnicamente opportune in linea teorica, non sono riuscite a garantire risultati conseguenti. Infine perché sarebbe con buona verosimiglianza necessario, e financo opportuno, in un contesto più generale, rafforzare preliminarmente la capacità sinergica dei Membri della Unione che, nella loro integralità, dovrebbero offrire il loro intervento fattivo anche in sede di vera e propria negoziazione delle ridette riammissioni all’interno dei Paesi Terzi di provenienza.

Mancando un’azione sinergica finalisticamente orientata in tal senso, difficilmente l’Unione Europea potrà riuscire a regolamentare e controllare un fenomeno, quale quello migratorio, da sempre esistito. Fermo restando che proprio sulla questione della tutela effettiva di migranti e rifugiati, sia all’interno del territorio degli Stati Membri, sia al di fuori di esso, attraverso le prassi dettate dalla legge e dalle diverse Convenzioni Internazionali in materia, si deciderà e si valuterà la credibilità attuale e futura dell’Unione Europea in ordine alla sua reale volontà di rispettare i diritti umani e di essere una comunità basata sulla cosiddetta rule of law, oltre che, e di conseguenza, la credibilità del Governo Italiano, specie in vista delle prossime Europee. E ancora fermo restando che nella gestione del fenomeno, e nella gestione delle iniziative utili a contrastarlo e regolamentarlo, né l’Italia, né l’Unione Europea, dovrebbero dimenticare di tenere nella debita considerazione gli insegnamenti offerti a suo tempo dalla Grande Camera della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la quale, il 23 febbraio dell’anno 2012, nel caso Hirsi Jamaa e altri, aveva condannato alla unanimità l’Italia per violazione dell’art. 3 (doppia), dell’art. 4 Protocollo n. 4, nonché dell’art. 13 (in collegamento con i due articoli precedenti) della Carta Europea dei Diritti dell’Uomo.

La Libia ieri e la Tunisia oggi, non potevano, e probabilmente non possono essere considerati porti sicuri, perché, salvo errore, non parrebbero riconoscere la Convenzione di Ginevra sui rifugiati. Peraltro, le navi umanitarie, diversamente da quanto taluni potrebbero essere indotti a ritenere, non parrebbero costituire un fattore di attrazione per chiunque voglia partire abbandonando il proprio Paese di provenienza siccome invero utili a favorire, con la loro attività di intervento, un maggiore coordinamento nel soccorso in mare tra i diversi paesi europei.

Insomma: a tutto voler considerare, le parole, per quanto rassicuranti nel momento in cui vengono pronunciate, da sole non bastano, occorre passare ai fatti, prevedendo in concreto misure cogenti, vincolanti per tutti i Paesi che favoriscano le dinamiche di utile gestione delle politiche migratorie. I paesi di Visegrad e i loro alleati nel complesso europeo, dovranno necessariamente condividere la modifica degli accordi di Dublino sulla regola del primo approdo, perché quello sembra essere il presupposto di ogni utile cambiamento. Ed in tal senso il Governo guidato da Giorgia Meloni deve impegnarsi. La risposta non possono essere gli accordi bilaterali con gli Stati di partenza visto e considerato l’esito immediato che pare aver avuto quello siglato solo un mese fa circa con la Tunisia.

È giunto il tempo delle azioni concrete, e sulla loro predisposizione ed attuazione il Governo Italiano e l’Unione Europea nella sua consistenza tutta debbono lavorare. E la risposta non pare potersi rinvenire neppure ragionando nei termini di un non meglio precisato complotto perpetrato in danno all’Italia da parte di altri, come parrebbe aver creduto il Segretario della Lega. Un atteggiamento di tal fatta rischierebbe infatti ed unicamente dall’allontanare il fenomeno dalla sua soluzione. Occorrerebbe piuttosto introdurre una politica migratoria votata all’accoglienza la quale, può ben costituire un valore aggiunto per il nostro Paese se gestita secondo regole certe votate alla solidarietà nazionale, europea ed internazionale.

Le migrazioni sono sempre esistite e verosimilmente continueranno ad esistere.

Giuseppina Di Salvatore – Avvocato, Nuoro

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