"Halimi? L'algerino? Certo che me lo ricordo, era in cella con me. E le dico che l'hanno ucciso loro. Prima le botte durante la 'mattanza', poi la solitudine del lungo isolamento, infine le medicine date o non date... L'ho detto anche ai magistrati quando mi hanno interrogato".

Sono le scioccanti dichiarazioni, rilasciate in un'intervista ripresa dalle agenzie di stampa, di un altro detenuto e con riferimento alla morte del 27enne Lamine Hakimi nel carcere di Santa Maria Capua Vetere.

Sarebbe proprio dell'uomo, ora ai domiciliari, la prima denuncia presentata sui pestaggi nel carcere.

"Forse non mi sono spiegato bene - aggiunge - io non dico che sono state le mazzate a ucciderlo, ma tutto quello che è successo dopo, e infatti i magistrati volevano procedere".

Ritornando a quel 6 aprile 2020, racconta: "Il lunedì nero... eh, ormai c'è poco da dire, i video li avete visti, no? Ci hanno abboffati di mazzate senza pietà. Saranno state le 3 del pomeriggio, sono arrivati in assetto antisommossa e ci hanno tirati fuori dalle celle, e poi giù pugni, calci, manganellate. Io quella bastonatura me la sogno di notte, mi sveglio gridando".

"Era un caos - aggiunge -. Ci urlavano maleparole. C'erano tutti i capi, alcuni agenti li conoscevo altri no, molti avevano i caschi. Il povero Halimi se lo sono portato in isolamento, e credo non ne sia mai più uscito... Poi mi sono riconosciuto pure io guardando i video".

 "Quando è finito tutto ormai si era fatta sera – prosegue il terribile racconto - c'era un silenzio irreale. Quattro giorni dopo è finita la mia detenzione: sono uscito e sono andato nell'ospedale più vicino, ma per colpa della pandemia non mi hanno fatto entrare".

Quanto a una possibile traccia delle ferite "c'è - dice -, perché ho fatto la denuncia e mi hanno mandato il medico legale a casa, con i carabinieri, e hanno fatto le foto. I lividi c'erano ancora tutti”.

Ora sono rimasti “quelli dentro, interiori". 

(Unioneonline/v.l.)

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