Il professor Andrea Crisanti promette che non canterà più. «Mi esibirò nuovamente solo se prima mi pagano un corso di canto», ride al telefono da Roma. Nei giorni scorsi, ospite della trasmissione radiofonica Un giorno da pecora, si è preso cinque minuti di pausa dall’analisi grammaticale della pandemia per cantare “Sì sì vax”, inno alla vaccinazione sulle note di “Jingle Bells”, assieme a Matteo Bassetti e Fabrizio Pregliasco. È successo il finimondo. Tutti contro: fior di professori, giornalisti, social.

«Mah, guardi, stonatura a parte lo rifarei. Mi è stata proposta una modalità di comunicazione improntata all’autoironia e ho accettato. Ho cantato per i bambini, per far arrivare loro l’invito a vaccinarsi. Di sicuro non possiamo dirglielo con parole che incutono paura e ansia. O facendogli vedere la sfilata dei morti di Bergamo, a cui purtroppo ci siamo assuefatti anche noi».

Andrea Crisanti, 67 anni, virologo, già docente all’Imperial College di Londra, dal 2019 direttore del laboratorio di microbiologia dell’Università di Padova, è tra gli esperti che in quasi due anni di pandemia sono diventati più familiari al grande pubblico. Il suo campo di studio, in realtà, è la malaria, ma l’irrompere del virus Sars Cov-2 l’ha strappato all’anonimato del laboratorio e della ricerca dapprima come consulente tecnico del Veneto (in segno di riconoscenza la città di Padova gli ha donato il sigillo, ma col presidente Zaia non è finita bene), poi in Sardegna come regista della campagna di screening “Sardi e sicuri”. Di carattere riservato, gli dev’essere molto costato cantare sulle note di “Jingle Bells”.«Ripeto, l’ho fatto per mandare un messaggio ai bambini».

Il dibattito acceso che ne è seguito ha messo a nudo il tasto dolente della comunicazione. Troppi errori finora.

«È così. Per esempio, ci hanno raccontato fino a ieri che avremmo avuto l’immunità di gregge a settembre e guardi com’è andata. Ci è stato detto anche che il green pass avrebbe creato ambienti sicuri. Tutte cose che non erano vere, e comunque al limite di una verità plausibile».

La conseguenza qual è?

«La conseguenza è che poi la gente comincia a dire: ci dobbiamo credere? Sarà vero? Questi sono gli errori di comunicazione, non la canzoncina che ho cantato io. Il punto è che bisogna dire come stanno le cose. Anche su ciò che non funziona al cento per cento».

Da Omicron cosa ci dobbiamo aspettare?

«Un grosso aumento dei contagi, perché è una variante che si trasmette molto bene in particolare tra i vaccinati che, di fatto, non rappresentano più una barriera. I casi aumentano e questo pone un problema di sicurezza per chi ancora non è vaccinato e per le persone fragili».

Però sembra meno sintomatica della variante Delta.

«Sì, ma se la Delta infetta 50mila persone e Omicron 200mila, alla fine l’impatto sul sistema sanitario è lo stesso».

Una questione di proporzionalità.

«Esattamente. I dati sembrano suggerire che sia meno aggressiva come capacità di determinare una malattia grave e probabilità di finire in rianimazione. Però è sempre un virus potenzialmente in grado di creare danni, soprattutto nelle persone fragili e negli anziani».

Sarà presto prevalente?

«Sì, per un motivo evidente: noi, di fatto, con la vaccinazione abbiamo cambiato l’ecosistema del virus».

In che senso?

«I virus, come tutti gli esseri che si riproducono su questa terra, sono soggetti alla legge della selezione naturale. Le varianti vengono generate in continuazione, per cui all’inizio si sono imposte quelle che si trasmettevano meglio in persone suscettibili. Adesso, però, soprattutto nei Paesi occidentali abbiamo una grossa fetta di popolazione protetta o parzialmente protetta con la vaccinazione, ed è chiaro che se emerge una variante in grado di infettare i vaccinati, questa si diffonde rapidamente, e scalza l’altra che invece trova una barriera».

Il virus si adatterà a noi o diventerà più cattivo?

«In alcuni casi i patogeni evolvono verso una progressiva diminuzione del danno, in altri casi no».

Da cosa dipende?

«Fondamentalmente da un aspetto legato all’evoluzione, e cioè se la malattia è funzionale al microrganismo per trasmettersi».

In quali casi la malattia è funzionale?

«Prendo un esempio da un mio campo di interesse: la malaria. Ecco, la malaria non potrà mai evolvere verso una forma benigna perché, per essere trasmesso dalla zanzara, il parassita ha bisogno di raggiungere elevati livelli di riproduzione nel sangue».

Cioè, la densità dei parassiti nel sangue…

«...determina la malattia, condizione necessaria perché venga trasmesso. Quindi non potrà mai evolversi un parassita che ha bassi livelli di riproduzione nel sangue, perché avrà una bassa probabilità di trasmettersi».

E il virus che abbiamo in casa, invece?

«La cosa buona che concede questo virus è che, siccome esistono numerosi casi asintomatici, c’è la possibilità che si sviluppino varianti estremamente infettive e asintomatiche. Se accadesse avremmo risolto il problema».

Cosa pensa delle restrizioni decise dalla cabina di regia?

«Sinceramente? Penso che mi avrebbero dovuto dare retta prima. Sono mesi che sto dicendo che la durata del green pass va allineata alla durata del vaccino; che la mascherina Ffp2 è il mezzo più sicuro perché ha un indice di protezione vicino al 98%; che il green pass da solo non è una misura di sanità pubblica. Purtroppo ci hanno messo sei mesi per capirlo».

Ha un consiglio per aiutarci a organizzare in sicurezza il pranzo di Natale in famiglia?

«Consiglio di limitare il numero di nuclei familiari coinvolti».

Sta dicendo che dobbiamo tagliare fuori i cognati?

(Ride) «Non necessariamente, sono tante le famiglie con molti figli e fratelli. Però è chiaro che è molto più pericoloso avere a tavola sette, otto persone di nuclei familiari diversi, invece che altrettante persone di due nuclei familiari».

Quindi?

«Meglio cercare di limitare gli incontri con persone che non si incontrano spesso».

Il sindaco di Palau ha imposto il green pass per il pranzo in famiglia.

«Non mi pronuncio. Voglio solo ripetere che il green pass da solo non funziona. Ho colleghi che hanno fatto la terza dose e si sono infettati, eppure avevano il super green pass. Non è questo il modo per bloccare il virus».

E qual è?

«La mascherina. Se noi tutti la usassimo quando saliamo sui mezzi pubblici, andiamo al cinema e a teatro, e ogni volta che entriamo in contatto con persone che non conosciamo, posso assicurare che insieme ai vaccini daremmo un colpo importante alla trasmissione del virus».

Lei il Natale dove lo passerà?

«A casa, con mia moglie, mia suocera e mio figlio».

Quanto durerà ancora la pandemia?

«Dipende da tanti fattori. Dallo sviluppo di vaccini più efficaci e duraturi, dal numero di persone che si vaccineranno e continueranno a farlo, dallo sviluppo di varianti che possono essere in grado di infettare le persone vaccinate. Ora però si possono fare due cose: vaccinarsi il più possibile con la terza dose e cercare di usare con diligenza la mascherina ».

Piera Serusi

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