Martedì non è stata una giornata rassicurante per chi si ostina a sperare in una verità processuale sul rogo della Moby Prince, in una svolta giudiziaria che indichi delle responsabilità precise per il rogo del traghetto che il 10 aprile 1991 costò la vita a 140 persone fra passeggeri ed equipaggio, con un marinaio unico superstite.

Dall'audizione del procuratore capo di Livorno, Maurizio Agnello, è emerso che la Dda fiorentina ha chiesto al gip di archiviare il procedimento: non c'è motivo di credere che quella strage sia stata voluta, quindi nulla la lega a scenari terroristici o mafiosi che la renderebbero di competenza, appunto, della Direzione distrettuale antimafia.

Quanto all'inchiesta livornese aperta nel 2018, gli inquirenti stanno ancora vagliando le 1400 pagine dell'informativa redatta dagli investigatori della Finanza. Ma nel tratteggiarne gli sviluppi è emersa ancora una volta l'ipotesi della nebbia per spiegare la collisione del traghetto con la petroliera Agip Abruzzo. Uno sviluppo che ha demoralizzato le due associazioni di familiari delle vittime, che in un comunicato parlano di "affermazioni sconcertanti". E hanno spinto il presidente della commissione parlamentare d'inchiesta, il deputato orunese di Forza Italia Pietro Pittalis, a diffondere una nota per assicurare che la ricerca della verità continua.

«Non riesco a capire come continui a restare in campo questa ipotesi – spiega Pittalis - quando tanto la prima commissione di inchiesta quanto la seconda e ora questa terza che ho l'onore di presiedere hanno appurato che quella sera non c'era nebbia, assolutamente». Poi la promessa di andare avanti, perché «è un nostro preciso dovere dare comunque delle risposte ai familiari delle vittime». Quanto all’inchiesta della magistratura l’opinione p di una «ricostruzione datata, superata».

L’intervista completa a Pietro Pittalis su L’Unione Sarda in edicola e sull’app

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