Blitz antiterrorismo della Polizia che ha sgominato una cellula di cittadini pachistani che operava in Italia e in altri Paesi, collegata a un network più ampio chiamato “Gruppo Gabar”, a sua volta legato a Zaheer Hassan Mahmoud, il 27enne responsabile dell’attacco a Charlie Hebdo del 25 settembre 2020, il secondo in cui due persone rimasero ferite a colpi di mannaia, non quello tragico del 2015 in cui si registrarono ben 12 vittime.

Sono 14 le misure cautelari eseguite in Italia e all'estero. L’indagine, coordinata dalla Dda di Genova, è stata svolta dalla Digos e dall’Antiterrorismo. Sette le persone finite in cella: due arrestate a Genova, una a Firenze, una in provincia di Reggio Emilia, una a Bari, una a Treviso e un’altra in Spagna.

“Una delle operazioni - ha sottolineato Diego Parente capo della Direzione centrale polizia di prevenzione - contro il radicalismo islamico tra le più importanti in Italia. Ha una dimensione europea”.

PRONTI A COMPRARE ARMI 

I terroristi stavano reclutando sodali in Italia ed erano pronti a comprare armi: “Tra due mesi le compriamo”, si dicevano il capo della cellula italiana e il “maestro”.

Ancora: “Ora bisogna andare in ogni città a trovare quelle 10 persone che mi servono, più saremo meglio è. Fammi lavorare due mesi, poi troviamo una nostra tana e facciamo il gruppo Gabar qui in Italia”.

LA FOTO CON L’ATTENTATORE DI PARIGI

Due mesi prima dell’attentato sotto la ex sede di Charlie Hebdo (il terrorista infatti voleva colpire il giornale satirico che continuava a pubblicare vignette su Maometto, ma non sapeva che dopo il primo attentato la sede era stata spostata), alcuni degli arrestati residenti in Italia si erano fotografati assieme all’attentatore sotto la Tour Eiffel. Pubblicarono anche la foto su Facebook: “Abbiate un po’ di pazienza, ci vediamo sui campi di battaglia”, scrissero.

IL CAPO

Il leader della cellula aveva ottenuto nel 2015 lo status di rifugiato in Italia.

Brandiva machete o coltelli di grandi dimensioni mimando insieme agli altri il "taglio della gola" per strada o dentro le abitazioni. E postava i video sui social.

Spesso appariva avvolto da tunica e copricapo neri mentre recita testi inneggianti alla violenza oppure mentre è in compagnia di connazionali. Una pubblicazione continua di video e post apologetici e violenti , in cui diffondeva dottrine religiose improntate alla violenza e con una forte visione antioccidentale, in piena aderenza alla linea di predicatori che incitano all’uccisione chi si macchia di blasfemia.

L'inchiesta ha avuto il punto di svolta con il rientro in Italia, nell'aprile dello scorso anno, dell’uomo, 25 anni, già in precedenza domiciliato a Chiavari, dove aveva fatto rientro subito dopo la riammissione dalla Francia, prima di trasferirsi in provincia di Reggio Emilia.

(Unioneonline/L)

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