«Noi non la sentiamo da agosto, non ci ha più telefonato, ma Sabrina una famiglia ce l’ha, e non l’abbiamo mai abbandonata».

Arriva dall’area della Città Metropolitana di Cagliari la voce di una persona molto vicina ai parenti della ragazza sarda che a Milano ha partorito per poi lasciare il bimbo in ospedale: vive per strada e teme per la salute del piccolo, che non potrebbe stare con la mamma sotto una tenda allestita alla meno peggio davanti alla stazione della metropolitana di San Donato.

È vero che la giovane (di cui conosciamo l’identità ma non la riveliamo a sua tutela) non ha i documenti: «Ma com’è possibile – si chiedono i familiari al telefono con UnioneSarda.it – che quando ha dato alla luce il bambino nessuno si sia preoccupato di fargliene avere di nuovi? Non è necessario che torni in Sardegna, potrebbe farli direttamente a Milano». Della gravidanza non sapevano nulla: «E probabilmente nemmeno lei se ne n’era accorta. Da tempo ha problemi di dipendenza e le abbiamo sempre offerto il nostro aiuto. Quando è sparita la prima volta, per andare in Germania, abbiamo presentato denuncia di scomparsa, un tentativo almeno per ritrovarla e sapere che stava bene».

Ma in Germania ci sono stati guai seri e Sabrina, inseparabile dal compagno Michael, anche lui sardo, ha ricevuto il foglio di via. È stato allora che la coppia è approdata in Lombardia, in condizioni precarie.

«L’ultimo contatto è stato quello di agosto, mancava qualche giorno al suo compleanno e per regalo chiedeva del denaro. In quell’occasione ha ribadito: “Io in Sardegna non voglio tornare, non ci faccio nulla lì. Voglio stare con Michael e continuare a vivere per strada”».

Nel pensiero della famiglia c’è poi quel bambino lasciato in ospedale: «Sabrina non potrebbe prendersene cura, fatica a occuparsi di se stessa, figuriamoci di un neonato».

La scoperta di quanto accaduto in questi giorni alla 23enne è stata fatta leggendo il nostro articolo, la mamma era incredula, «profondamente addolorata. Perché qui siamo con le braccia aperte per aiutare Sabrina, ma lei deve aver voglia di essere aiutata, da noi e da persone competenti, come una comunità».

La storia ha commosso tutta Italia e ci sono diverse persone che hanno offerto una mano ai ragazzi, purtroppo con scarsi risultati. Tra queste c’è la famiglia Belsanti, Rocco Salvatore e la moglie Cristina: «Abbiamo visto un post su Facebook ed è scattata subito la voglia di intervenire – spiegano – Per prima cosa abbiamo chiamato l’ospedale dove si trova il bambino, volevamo portare dei vestitini o qualcosa di utile. Niente di esagerato, non siamo ricchi. Ma ci hanno chiuso il telefono in faccia. Probabilmente hanno ricevuto tante offerte come la nostra e si è creato un po’ di caos».

Ma i Belsanti hanno fatto di più: sono andati alla stazione della Metropolitana di San Donato alla ricerca di Sabrina e Michael: «L’intento era quello di portarli a casa con noi per un pasto caldo, una doccia, un po’ di conforto e magari qualche capo di abbigliamento. Lei piangeva, si nascondeva dietro degli ombrelli aperti, e lui ci ha trattato in malo modo. Temiamo che ci possa essere dietro qualche episodio anche di violenza, la ragazza sembrava impaurita, smarrita, tentava di assecondarlo ma lui ha reagito male, era arrabbiato per tutto l’interesse mediatico che si è scatenato».

Rocco Salvatore e Cristina non hanno mollato la presa, erano lì per offrire un aiuto concreto, anche un lavoro: «Abbiamo preso a cuore la loro situazione, sappiamo cosa significhi avere un momento di difficoltà. Eppure è stato chiaro che non vogliono essere aiutati. Anzi: lui non vuole, e lei fa quello che le viene detto. Per poter intervenire sarebbe importante che si separassero per seguire ognuno un percorso idoneo. A quanto abbiamo capito non è questa l’intenzione». 

Del bambino hanno parlato poco, «non volevamo turbarli ulteriormente, ma lei, che ha partorito il 2 dicembre, certo che penserà a lui, è una mamma. Michael era infastidito e basta. Anzi, forse lei avrebbe anche voluto tenerlo, questa è l’impressione che abbiamo avuto».

I Belsanti sono pronti a fare da punto di riferimento per la famiglia di Sabrina, «siamo a disposizione, vorremmo che questa storia avesse un lieto fine».

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