Una decisione che ha scatenato un'ondata di polemiche, a sinistra e nel mondo delle associazioni. La Regione Umbria, guidata dalla leghista Donatella Tesei, ha vietato l'aborto farmacologico in day hospital. Chi vuole farvi ricorso dovrà essere necessariamente ricoverata tre giorni. Abrogate le disposizioni della precedente Giunta dem, che aveva introdotto la possibilità di abortire con la pillola RU 486 entro la settima settimana di gravidanza in day hospital e con terapia domiciliare.

"Una crociata, una follia", attacca la sinistra. "La libertà di una scelta sofferta, come quella dell'aborto, rimane. Ma c'è una maggiore tutela per la salute della donna", replica la presidente Tesei. "I rischi - aggiunge - ci sono, vogliamo solo dare alle donne la possibilità di abortire in sicurezza".

Per i dem umbri la scelta è volta ad assecondare le volontà di Simone Pillon, promotore del Family Day e commissario leghista in Umbria, "rendendo a ostacoli il percorso per ottenere l'aborto farmacologico".

"Mentre la Società italiana di ginecologia e ostetricia lanciava un appello chiedendo di favorire l'aborto farmacologico in day hospital, data l'emergenza Covid, viene presa una scelta che mette in chiara difficoltà le donne", sostiene il gruppo M5S in Regione.

Critiche anche da Laura Boldrini, che parla di "oscurantismo" e di un provvedimento che "lede i diritti delle donne". E dal portavoce nazionale di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni: "In Umbria si torna indietro costringendo le donne a tre giorni di ricovero. E' una scelta che comporta tre cose: la riduzione della libertà di scelta, un violento attacco alla privacy e, in piena pandemia, anche l'esposizione delle donne a un rischio più alto di contagio. tre conseguenze folli, ideologiche, oscurantiste".

(Unioneonline/L)
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