È stata la prima donna questore in Sardegna, la terra in cui è cresciuta anche se le sue origini sono lombarde. La carriera in polizia di Giusy Stellino è costellata da primati. Non ultimo quello relativo all’incarico più recente, alla guida della questura di Livorno. Qui, nel palazzo di via della Banca, per la prima volta quell’ufficio è occupato da una donna.

«Anche se – sottolinea – parlare di primati non mi piace, forse è stata una novità la nomina a questore nell’Isola, ma una donna in queste posizioni credo sarà sempre più la normalità». Questora, questore o la questore? «Il questore semplicemente per una questione di suono, non ho assolutamente preclusioni. Tanto, appunto, fra qualche anno il problema non si porrà più».

Nel suo curriculum ci sono numerose nomine e altrettanti riconoscimenti, una carriera trascorsa tra Milano, Roma, Sassari, Nuoro, Oristano, Ravenna.

Classe 1963, nata a Busto Arsizio (Varese), è cresciuta in Sardegna, con una breve parentesi, quando era molto piccola, in Romania. Suo padre, chimico, lavorava a Porto Torres e la famiglia si è quindi trasferita a Sassari. «Lì ho frequentato tutte le scuole e anche l’Università. I miei amici d’infanzia, quelli storici, sono lì».

Com’è nata la scelta di entrare in Polizia?

«Desideravo fare qualcosa di utile, avevo amici in polizia e mi ha entusiasmato questo percorso. Ho fatto il concorso, l’ho passato e poi sono andata a Roma. Tutto è iniziato nel 1990».

Se non l’avesse fatto, chi sarebbe oggi?

«Quante volte me lo chiedo, ancora adesso. Non lo so in realtà. Dopo la maturità insieme ad alcune amiche abbiamo fatto un viaggio a Firenze e pensavamo di iscriverci ad Architettura. Poi, per tutta una serie di situazioni, sono invece tornata a Sassari e ho scelto Giurisprudenza».

Appoggiata dalla famiglia?

«I miei genitori mi hanno sempre dato ampia libertà, e la possibilità di fare altre esperienze all’estero, ad esempio a Londra. Comunque ho maturato la convinzione che tutto può accadere, e non sai mai cosa ti riservi la vita».

Cos’ha portato dal suo ufficio in Sardegna?

«Di materiale qualcosa c’è, però è ancora tutto negli scatoloni del trasloco. Sono a Livorno da poco più di un mese, in arrivo da Ravenna dove sono rimasta due anni, e devo sistemare molte cose. In realtà ciò che porto con me non può stare nelle scatole, è molto più grande e molto intenso».

Per esempio?

«In ognuna delle città in cui ho lavorato ho incontrato persone bellissime, comunità diverse unite da un forte sentimento di accoglienza».

A Sassari ad esempio, dove ha diretto la Squadra mobile?

«Quella è ormai la mia città di adozione, chiamiamola così. Ho vissuto l’operatività in senso stretto, una realtà entusiasmante. Le indagini vissute dall’interno ti coinvolgono moltissimo».

A Nuoro?

«Ero vicario del questore, e mi sono trovata benissimo. Da un punto di vista lavorativo e anche privato, con dei vicini di casa, per citare una circostanza, affettuosi e premurosi. Non sa quante volte, sapendo che rientravo tardi, mi facevano trovare qualcosa per cena. Saranno piccole attenzioni, forse non eccezionali per i sardi in genere, per me invece importanti, e me le ricorderò sempre».

A Oristano?

«La mia prima sede da questore. È chiaro che cambia l’approccio, la mia era una figura più istituzionale e meno impegnata sul campo. Però anche lì, e mi ripeto, ho conosciuto persone splendide, colleghe che tuttora mi mandano i dolci sardi. Che io apprezzo, ovviamente».

Segue le cronache della Sardegna da Livorno?

«Sì ma con l’occhio di un lettore qualunque, quando si cambia – città, lavoro, ambiente - bisogna guardare avanti. Comincia una nuova vita e si è sempre impegnati su nuovi fronti. Leggo naturalmente quello che accade, forse in modo più “soft”, senza il pensiero di dover trovare lo spunto per qualcosa che riguardi l’ordine pubblico diciamo».

Ha girato varie regioni, quali sono gli elementi che le contraddistinguono dal punto di vista della criminalità?

«Fare distinzioni è difficile perché ho ricoperto incarichi diversi. La Sardegna certamente la conosco meglio perché ho lavorato proprio a contatto diretto con tutto il mondo della criminalità. A Ravenna posso dire che ci sono frequenti casi di furti in appartamento, che cercavamo di contrastare con servizi dedicati. Il cittadino ravennate in genere denuncia sempre, ha grande fiducia nelle istituzioni».

Il sardo no?

«Il nuorese è un po’ più diffidente, senza voler generalizzare. Quando c’ero io si prestava particolare attenzione agli attentati alle forze dell’ordine, alle figure istituzionali, era la manifestazione del dissenso. Ora tante cose sono cambiate, passa di più uno dei messaggi a cui tengo in modo particolare».

Quale?

«La polizia vicino ai cittadini. Al servizio dei cittadini. E per farlo è molto importante ad esempio cominciare ad avvicinare gli adulti di domani già dalle scuole. Ci sono tanti progetti della polizia che prevedono gli incontri con gli alunni delle primarie e poi via via gli altri livelli».

Quali sono oggi secondo lei le “emergenze”?

«Il lavoro è fondamentale da un punto di vista della sicurezza, la mancanza di lavoro ha poi molte conseguenze. Questo è uno dei punti insieme alla necessità del controllo del territorio. Sempre poi particolare attenzione al fenomeno dello spaccio della droga, a Livorno il porto è seguito con attenzione da tutte le forze di polizia, esattamente come accade per gli scali sardi, e delle truffe ai danni degli anziani. Chi ha una certa età, e cade nel tranello di qualche malfattore, sovente si vergogna di raccontare quello che è successo. Invece deve ricevere supporto dalla famiglia, e rivolgersi alle forze dell’ordine».

L’indagine più delicata che ha seguito nella sua carriera?

«A Faenza, un caso di femminicidio. Trovare il responsabile, poi l’arresto: seguire queste attività è molto d’impatto sul fronte operativo e anche emotivo. Conosci degli aspetti che magari si affronteranno poi al processo e che sicuramente ti toccano».

E in Sardegna?

«A Sassari quella sullo sfruttamento della prostituzione, la cosiddetta “tratta delle nigeriane”. Ascolti le intercettazioni e tutto ti coinvolge. Ecco, quell’operatività ora un po’ mi manca».

Ma in Sardegna tornerà?

«Questa è la mia unica certezza per quando andrò in pensione. Non guardo indietro e non guardo avanti, non faccio programmi che poi inevitabilmente saltano. Per ora voglio lavorare e vivere questa città nuova per me. E penso alla Sardegna, quello sì».

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