Costa Concordia, 13 gennaio 2012. Alle 21,37 il comandante Francesco Schettino raggiunge la plancia della nave e prende in mano il timone. Ha deciso di fare l'inchino all'isola del Giglio per omaggiare il maître di bordo che lì è nato. In sette minuti la Concordia si trova ad appena 160 metri dalla riva. Sono le 21.44. Schettino capisce però di aver azzardato troppo e ordina al timoniere di spostarsi di venti gradi. Ma in plancia c'è confusione, si chiacchiera. C'è chiasso. Due persone sono di troppo: il commissario di bordo e la famigerata hostess moldava.

Succede che quell'indicazione verbale arriva male al timoniere che vira verso sinistra anziché in senso opposto. L'errore è fatale: la Concordia finisce sugli scogli de Le Scole. Le 21.45 sono passate da cinque secondi. L'urto provoca uno squarcio da settanta metri. L'acqua fa saltare i quadri elettrici. Perché proprio su quel lato c'è il Ponte Zero, dove è concentrata la parte meccanica della nave.

Scattano tutti gli allarmi di avaria, il primo black-out è contestuale. La Concordia diventa subito ingovernabile, il timone è bloccato a 35 gradi a destra. Gianna Melis, una parrucchiera di Cagliari, è a bordo. Deve partecipare a un reality per consulente d'immagine. È stata selezionata tra seimila colleghi. Sulla Concordia - 290 metri di lunghezza e settanta di altezza - è salita quello stesso 13 gennaio alle 17.30, dopo un volo da Cagliari e un tragitto in pulmino sino al porto di Civitavecchia. La nave ha mollato gli ormeggi alle 18.57, diretta a Savona. All'ora dell'impatto Melis è in uno dei quattordici ristoranti della Concordia. È in compagnia dell'amica Katia Corda, partita con lei come ospite. Viaggiavano insieme ad altri 4.227 passeggeri. Compresi 253 bambini, di cui 52 sotto i tre anni.

Cosa ricorda di quel giorno?

«Tutto. Qualunque cosa. Continuo a pensarci ogni giorno. Ogni santo giorno».

Quando succede l'incidente dove eravate?

«In uno dei ristoranti. Stavamo partecipando alla prima serata di gala. Indossavamo un abito da sera leggerissimo. Ai piedi scarpe con tacco dodici. Sulla nave c'erano ventiquattro gradi. Il reality sarebbe cominciato il giorno dopo. A Savona, dove eravamo diretti, sarebbero saliti altri partecipanti. In tutto dovevamo essere novanta».

Alle 21,45 cosa succede?

«Il finimondo. Sentiamo un rumore assurdo, fatto da una sequenza di colpi, tutti fortissimi. Noi eravamo sedute vicino a degli scaffali, da cui sono caduti i piatti e i bicchieri. Non si vedevano più nulla, all'improvviso il buio».

Quanto è durato il black-out?

«Non molto, poi si sono accese le luci di emergenza, molto più flebili. La gente ha cominciato a urlare, ad agitarsi. Il primo istinto è stato quello di tornare in cabina, ma la mia amica Katia non ha voluto. Ha detto che era più sicuro stare lì. E aveva ragione».

Perché?

«Vicino a noi c'era una famiglia tedesca, composta da genitori e due figli adolescenti. Una hostess, di cui ricordo gli occhi da diavolo, non li posso dimenticare, li ha obbligati a prendere l'ascensore per tornare in cabina. Da lì non sono più usciti. Sono morti tutti. Quella famiglia è tra le trentadue vittime del naufragio».

A che piano era il ristorante?

«Terzo o quarto, non ricordo. Comunque era il piano delle scialuppe. Infatti ci siamo messe subito davanti. Ci siamo spostate unicamente per andare a cercare i salvagenti. Ricordo un signore che ne aveva tre, ma era solo con la moglie. Quello in più non volle darcelo. Avevamo dovuto cercare in altre cassapanche».

Il personale di bordo era con voi?

«Si limitavano a passare. A ripetere di raggiungere le cabine. La nostra era proprio sul lato in cui si è piegata la nave. Se fossimo tornate lì, saremmo morte, con certezza».

Quante ore dopo vi hanno fatto salire sulle scialuppe?

«Verso le 23.15».

Nel frattempo cosa avete fatto?

«Io sono rimasta impietrita per tutto il tempo, non riuscivo a dire nulla. Katia, invece, parlava. E telefonava per chiedere aiuto».

La Concordia ha cominciato a piegarsi subito?

«Sì, altrimenti i piatti e i bicchieri non sarebbero caduti».

Cosa vi dicevate tra passeggeri?

«I giovani urlavano, i bambini erano ammutoliti».

Alle 22.24 la Concordia si inclina improvvisamente sul lato destro, scarrocciando verso gli scogli di Punta Gabbianara. Ci sono le prime vittime, perché qualcuno che era sui ponti finisce in acqua in seguito al brusco spostamento.

«Vicino a noi un signore è morto d'infarto».

Alle 22.50 arriva l'ordine di mettere in mare le scialuppe. Chi se ne occupava?

«I camerieri. Facevano tutto loro. Quello più vicino a me che ci ha provato per un po', ma non riusciva a togliere il gancio. La gente voleva linciarlo. Poi ce l'ha fatta ma ha preso un colpo e si è tagliato la fronte. Lo portarono via i colleghi».

In che ordine si saliva sulle scialuppe?

«Prima abbiamo fatto passare le mamme con i figli piccoli. Inizialmente non volevano far salire i padri. Poi i bambini si sono disperati, è stata l'unica volta che li ho visti piangere. Allora hanno cominciato a non dividere le famiglie».

È stato facile salire sulle scialuppe?

«Per nulla. Bisogna fare un salto nel vuoto. E a bordo eravamo in tantissimi, molti di più della capienza massima di settanta. Come poi è stato ricostruito, non è stato possibile utilizzare tutte le scialuppe perché alcune erano sul lato in cui la Concordia si è piegata. Non dimenticherò mai la generosità del musicista che ha lasciato il posto a una mamma con bambino. Lui è morto».

A mezzanotte la Concordia si è definitivamente piegata su un fianco, ad appena novantasei metri dalla riva. Voi eravate salve, finalmente.

«A quell'ora eravamo già dentro una chiesa dove gli abitanti del Giglio ci avevano portato per farci riparare dal freddo. Io ero sempre vestita con l'abito da sera estivo e il tacco dodici. Ricordo che in chiesa avevo aperto un armadio per cercare qualcosa con cui farmi caldo. Trovai dei pezzi di stoffa numerati e li distribuii. Ho scoperto tempo dopo che erano copri bara».

La Protezione civile c'era?

«Non saprei dire chi ci fosse. So soltanto che la mobilitazione dei gigliesi è stata fantastica. Non ci hanno mai lasciato soli. Hanno aperto case e locali per ospitarci».

Sull'isola quanto siete rimasti?

«Poco, qualche ora. Poi ci hanno imbarcato su un traghetto. Un altro incubo: essendo al Giglio, l'unico modo per spostare noi naufraghi è stato quello di farci salire su un'altra imbarcazione. Uno choc. Da lì siamo arrivati a Civitavecchia e ci hanno portato in un hotel. Anche lì siamo stati accolti benissimo: ci hanno offerto frutta e fatto mangiare quel che avevano. A Civitavecchia il sistema della Protezione civile si è messo in moto».

Lei era sempre con l'abito da sera leggero o vi avevano dato altri vestiti?

«Io la mattina del 14 gennaio sono arrivata all'aeroporto di Cagliari vestita allo stesso modo, col tacco dodici. In più avevo la copertina della Protezione civile».

Chi ha trovato in aeroporto?

«Due dei miei quattro figli. Le due che in quel momento erano a Cagliari, gli altri vivevano fuori».

Da quel giorno com'è cambiata la sua vita?

«Ho smesso di fare programmi. Ho cominciato a vivere alla giornata. Ma per un lungo tempo ho avuto difficoltà a lavorare. Mi veniva da scappare da tutto e da tutti. Soprattutto da chi mi chiedeva di raccontare cosa fosse successo sulla Concordia. Adesso, invece, ogni volta che ne parlo, mi sento più leggera. È come se togliessi quel peso sul cuore che non se n'è più andato».

Da Costa Crociere ha ottenuto un risarcimento?

«Una miseria. Poche settimane dopo l'incidente, ci hanno contattato per conciliare. Ci hanno dato una somma davvero irrisoria. Io ho perso non solo l'attrezzatura da lavoro, portata per fare il reality, ma anche vestiti e gioielli. Avrei dovuto fare una settimana di reality, avevo con me la roba migliore. Il risarcimento che ci hanno dato non ha certo tenuto in considerazione i danni morali. Io passati undici anni sto ancora male».

Perché?

«Penso spesso alle coincidenze di quel giorno».

Per esempio?

«Appena Katia e io siamo arrivate in cabina, il televisore si era inceppato e ripeteva in continuazione le istruzioni di salvataggio. Tanto che a un certo punto, mentre ci stavano preparando per andare in ristorante, abbiamo staccato la spina perché non ne potevamo più di sentire quella voce. Ci angosciava».

Altre coincidenze?

«Pochi giorni prima della partenza, mia figlia mi aveva chiesto di riguardare con lei il film Titanic. Ricordo di averle detto: “Aiuto, tra pochi giorni devo partire anch'io”. Ma quello che si vede nel film è la realtà. Io da quel 13 gennaio ho sensi di colpa: mi chiedo perché mi sono salvata io e le altre trentadue persone no».

Schettino l'ha mai incontrato?

«Mai. La famosa hostess sì, invece. Quando da Fiumicino ci erano venuti a prendere col pulmino per portarci a Civitavecchia, c'era anche lei. Aveva la divisa della Costa Concordia».

Ha mai pensato che sarebbe morta?

«Sempre. Io credevo che non ce l'avremmo fatta. Mentre ero davanti alle scialuppe, col telefono con poca carica, avevo scritto dei messaggi di addio per i miei figli. Li avrei spediti appena avrei capito che stava finendo tutto».

È rimasta in contatto con qualche altro passeggero?

«No, però mi sarebbe piaciuto. E mi dispiace non essere potuta andare al processo contro Schettino».

Crede che le avrebbe fatto bene?

«Sì, forse starei meglio. Mi sarei voluta costituire parte civile. È ridicola la condanna a sedici anni che gli hanno dato. E soprattutto è assurdo il fatto che sia già in semilibertà. Io non salgo più nemmeno su un pedalò. Poco tempo dopo il naufragio, le mie figlie mi fecero fare un altro viaggio in nave, convinte che mi sarebbe servito per superare lo choc. È stato uno dei miei peggiori incubi».

Oltre quella per la nave, che altra paura le è rimasta?

«Io non temo più nulla. Meglio: a me può succedere qualunque cosa, penso di poter affrontare tutto. Solo per i miei figli mi preoccupo».

Cosa la commuove ancora della tragedia?

«Il ricordo dell'abbraccio con le mie ragazze, in aeroporto a Cagliari. È stato uno dei momenti più commoventi della mia vita».

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