Favorivano i detenuti in cambio di cassette di pesce da 50 euro, buste di carne e formaggio, un iPhone e qualche centinaia di euro in contanti.

Sono stati per questo arrestati due poliziotti penitenziari del carcere di Trani:  in manette il vice sovrintendente Vincenzo Cellamare, 56 anni, consuocero del capo clan mafioso di Bari Giuseppe Misceo e ai domiciliari l'ispettore Antonio Cardinale, 57 anni.

Il primo avrebbe accompagnato con l’auto privata la moglie di un detenuto ai colloqui in carcere, quando durante il lockdown erano vietati, rivelato notizie segrete e consentito con la complicità del secondo anche chiamate WhatsApp di gruppo dei detenuti con l'esterno. 

Nell'ordinanza il gip li definisce "pubblici ufficiali a libro paga" dei detenuti. Nell'inchiesta, che conta complessivamente 29 indagati, sono coinvolti altri 5 poliziotti penitenziari, sei detenuti, tra i quali Christian Lovreglio, 30enne barese, nipote del boss di Japigia Savinuccio Parisi, e i loro famigliari.

Per il nipote del boss, Cellamare "si sarebbe buttato nel fuoco" scrive il gip, arrivando a suggerirgli strategie difensive per uscire dal carcere. Gli indagati rispondono, a vario titolo, di corruzione, concussione, depistaggio, peculato e abuso d'ufficio.

Le indagini, partite dalla segnalazione nel febbraio 2020 di un collega poliziotto che, "per evitare censure", si è rivolto direttamente alla Procura di Trani, hanno documentato - attraverso soprattutto intercettazioni ambientali audio-video nella sala colloqui del carcere - 17 episodi di presunte corruzioni da maggio a ottobre 2020. "In questo carcere i detenuti sono liberi di fare quello che vogliono, girano indisturbati da tutte le parti e usufruiscono di privilegi, pagano per effettuare più telefonate di quelle già autorizzate, anche facendo 15 videochiamate a settimana" ha riferito agli inquirenti una "fonte confidenziale" interna al penitenziario tranese.

Un "quadro allarmante di un sistema criminale fondato su relazioni illecite stabili tra appartenenti al corpo di Polizia penitenziaria e detenuti" scrive il giudice nell'ordinanza. Non si sarebbe trattato di "episodi singoli e sporadici", ma di "un modus operandi ben consolidato", basato su "relazioni amichevoli con soggetti pregiudicati in una cornice relazionale del tutto priva del necessario distacco imposto dal ruolo rivestito". I due agenti penitenziari avrebbero così "svenduto la funzione pubblica per pochi soldi".

(Unioneonline/D)

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