I carabinieri del comando provinciale e la polizia di Napoli hanno eseguito 64 ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse a carico di persone appartenenti al clan camorristico dei Sarno e ritenute responsabili, a vario di titolo, di associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsioni, usura, traffico e spaccio di stupefacenti e altri reati. Nel corso di indagini su alcuni clan dell'area orientale del capoluogo campano, coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli, i carabinieri hanno portato alla luce l'infiltrazione del potentissimo clan camorristico dei Sarno nell'hinterland napoletano. E' stato tra l'altro evidenziato come il gruppo attuasse la collocazione di propri 'referenti' in territori prima controllati da altri due cartelli camorristici, ai fini della imposizione del 'pizzo' a imprenditori e commercianti e per controllare il traffico e lo spaccio di cocaina importata attraverso la Spagna.

IN MANETTE TERRACCIANO Ci sono anche dieci donne tra le 64 persone arrestate nel corso dell'operazione contro il clan camorristico dei Sarno e altri gruppi attivi nell'hinterland napoletano. Fra le altre, è stata arrestata anche Luisa Terracciano, di 48 anni, attuale reggente del clan Arlistico-Terracciano-Orefice che opera nei comuni di Pollena Trocchia, San Sebastiano al Vesuvio e Massa di Somma.

DAL CARCERE: ''TI DO IL MIO NOME'' Un boss della camorra della zona vesuviana scrive dal carcere in cui è detenuto al figlio, poco addentrato nei fatti della malavita, e gli dà una sorta di investitura, cedendogli "per il bene della famiglia" criminale il proprio nome di battesimo e un bracciale, che egli ritiene simbolo del comando. E' un interessante spaccato di camorra che emerge dalle indagini dei carabinieri del comando provinciale di Napoli che hanno portato all'emissione di 64 ordinanze di custodia cautelare da parte della magistratura. Protagonista di questa vicenda è Giuseppe Orefice, capo dell'omonima cosca, federata con le famiglie Arlistico e Terracciano. I carabinieri hanno sequestrato la lettera, spedita dal carcere da Giuseppe Orefice al figlio, nella quale il boss impartisce ordini e direttive che appaiono come una vera e propria investitura camorristica; una sorta di manifesto della camorra nel quale un capo impone al proprio figlio, evidentemente poco incline a interessarsi di faccende della malavita, di piegarsi alla logica del malaffare. Il giovane viene esortato dal padre a prendere il suo posto "per il bene della famiglia" criminale. "Un valore elevato - osserva il gip che ha emesso l'ordinanza - che sovrasta tutti gli altri valori, sia etici che morali". Con la lettera, Giuseppe Orefice impone al figlio il proprio nome - si dovrà da quel momento in poi chiamare Peppe come il padre - gli impone di comportarsi come un camorrista e avrà per questo il segno del comando, un bracciale che gli viene ceduto come simbolo del potere. "Da oggi in poi - scrive Orefice al figlio - ti chiamerò Peppe e per tutti sarai me. Ti regalerò il mio bracciale che molti mi hanno chiesto, ma che io consegno a te".
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