Bugie, depistaggi, processi che hanno portato alla condanna di innocenti. Sono stati anni difficili quelli che ha dovuto affrontare mamma Luciana; donna forte, con le spalle larghe ma con una ferita al cuore che non si è mai cicatrizzata.

Luciana ha cercato fino alla fine verità e giustizia sull’omicidio della figlia Ilaria Alpi e dell’operatore Miran Hrovatin, uccisi entrambi a Mogadiscio, in Somalia, il 20 marzo del 1994.

Oggi la storia sembra essere cambiata rispetto al passato, la luce sembra voler riflettersi su quei fascicoli pieni di polvere, su quelle domande che non hanno mai trovato alcuna risposta e che le coscienze richiamano a gran voce.

Il gip di Roma Andrea Fanelli ha rigettato per la seconda volta la richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura e ha disposto nuove indagini. Ci saranno a disposizione sei mesi, ben 180 giorni per scoprire la verità che si cela dietro la misteriosa morte di Ilaria e Miran. Il magistrato ha accolto le istanze presentate dalla famiglia Alpi, da Fnsi, Usigrai e Odg e ha disposto che vengano chiariti alcuni punti oscuri di questa vicenda ma il punto tra tutti che fa sobbalzare sulla sedia è che il giudice ha disposto l’acquisizione dei fascicoli sulla morte di Mauro Rostagno, giornalista, sociologo, ucciso dalla mafia trapanese nel 1988.

Quali sono i punti di congiunzione tra l’omicidio Alpi-Hrovatin e il delitto Rostagno? Il 12 marzo 1994, Ilaria e Miran sono già in Somalia, a Mogadiscio. Per Ilaria non è il primo viaggio, già nel dicembre del 1992 era stata in quelle terre per documentare la missione militare italiana dei Caschi Blu. Il giorno successivo vanno nella città di Merca per seguire i militari italiani. Il 14 marzo, dopo aver partecipato ad una cerimonia all’ospedale di Giohar per l’intitolazione della struttura a Maria Cristina Luinetti, uccisa a Mogadiscio nel dicembre del 93, partono la sera stessa per Bosaso, dove intervistano il sultano Abdullahi Moussa Bogor.

Nelle acque di Bosaso, proprio in quei giorni, c’è la nave della flotta Shifto Faarax Omar, sequestrata dai pirati. Ilaria fa domande, chiede di poter salire. Si tratta di sei pescherecci della Cooperazione italiana in Somalia, utilizzati anche per traffico d’armi e altro ancora. Il 20 marzo, arrivati a Mogadiscio, Ilaria e Miran vanno in albergo e successivamente decidono di scendere per oltrepassare la Green Line, ovvero il confine che separa la parte controllata dal generale Aidid e quella di Ali Mahdi.

Non portano nulla; passaporto, videocamera, contanti. Niente. Sono stanchi dal viaggio eppure hanno affrontato un pericolo simile, quale sarà il motivo? Una trappola bene organizzata, probabilmente. Un commando composto da diversi uomini armati raggiunge il fuoristrada su cui viaggiano i due inviati Rai, insieme all’autista e un uomo di scorta, li supera tagliando la strada e li fredda con un colpo alla testa.

Miran muore sul colpo, Ilaria poco dopo.

Mauro Rostagno viene assassinato il 26 settembre del 1988. Era un giornalista e sociologo, fondatore della comunità Saman. Nelle sue inchieste denunciava l’intreccio macchinoso tra politica corrotta, mafia e massoneria. Non è mai stato chiarito del tutto il movente e non sono mai stati individuati gli esecutori. I processi hanno portato alla condanna di un boss mafioso.

Rostagno non si fermava mai in superficie ed è emerso che stava svolgendo inchieste sul Centro di addestramento Gladio di Trapani che riguardava principalmente i traffici di armi con la Somalia. Vincenzo Li Causi, del Sismi, è a capo del Centro Gladio di Trapani. Li Causi, però, viene ammazzato in circostanze misteriose in Somalia, vicino a Balad, in data 12 novembre 1993, esattamente quattro mesi prima che Ilaria Alpi e Miran Hrovativ venissero uccisi.

Il materiale di Ilaria e Miran, come nastri e taccuini, non è l’unico a sparire dopo la loro morte, anche il materiale di Rostagno, che si trovava sulla sua scrivania, svanisce nel nulla. Si tratta di una videocassetta che, secondo quanto riferito da coloro che l’hanno vista, mostrava immagini documentare di nascosto da Rostagno all’aeroporto di Trapani, in una pista in cui veniva caricato materiale bellico destinato alla Somalia.

"Sappiamo che stava indagando su un traffico di armi e possiamo immaginare che siccome anche Ilaria e Miran stavano indagando su un traffico di armi, possa esserci un punto in comune. Erano delle armi che partivano dall’est europeo e arrivavano in Sicilia per poi andare in Somalia? È un’ipotesi - dice Chiara Cazzaniga di "Chi l'ha visto?" -. Una può essere il traffico di armi, per la seconda invece, leggendo le mille e passa pagine della sentenza Rostagno, è evidente che è entrato nel processo il capitolo Jupiter, quindi Giuseppe Cammisa che ai tempi era sicuramente una persona di fiducia di Francesco Cardella. Nel '94, Cammisa, che tutti chiamano Jupiter, e noi abbiamo anche dei documenti dove lui viene proprio chiamato Jupiter, il giorno in cui Ilaria è a Bosaso, è a Bosaso anche lui. Non si è mai capito bene cosa ci facesse là. Formalmente doveva aprire un ospedale per la comunità Saman, che si stava espandendo in Europa e non solo e aveva questo progetto molto bello e molto ambizioso. Era lì per sondare la situazione sul posto. Io ci ho parlato con Cammisa tempo fa e mi ha confermato che è stato a Bosaso, giustamente mi ha detto che non ricorda perché sono passati più di vent’anni. Secondo me bisognerebbe capire non tanto cosa facesse Cammisa lì ma se ha visto qualcosa, dato che non penso ci fossero tanti italiani a Bosaso nel '94".

Cazzaniga con i suoi servizi è riuscita a dimostrare l’innocenza di Hashi Omar Hassan e ha intervistato il supertestimone Ahmed Ali Rage detto "Jelle", considerato dalla giustizia italiana irreperibile.

Angelo Barraco
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