Almasri fu scarcerato e riaccompagnato in patria con un volo di Stato per il timore di ritorsioni per i cittadini e gli interessi italiani in Libia.

Lo sostiene il tribunale dei ministri, che ha chiesto l'autorizzazione a procedere nei confronti del del ministro Nordio, del sottosegretario Mantovano e del ministro Piantedosi.

«Appare verosimile che l'effettiva e inespressa motivazione degli atti e delle condotte tenute tanto dal ministro Nordio - nel decidere di non dar corso alla richiesta di cooperazione della Cpi relativa sia all'arresto che al sequestro - quanto dal ministro Piantedosi - nel decretare l'espulsione dal territorio dello Stato - ed infine dall'Autorità delegata Mantovano - nel richiedere il volo Cai per l'accompagnamento in patria - sia da rinvenirsi, piuttosto, nelle preoccupazioni palesate dal Prefetto Caravelli (il direttore dell'Aise, ndr), nell'ambito delle riunioni intercorse tra i vertici istituzionali, riferite a possibili ritorsioni per i cittadini e gli interessi italiani in Libia derivanti dal mantenimento in vinculis di Almasri», si legge negli atti depositati alla Camera. 

Per il tribunale è «paradossale» che il decreto di espulsione di Almasri, emesso per «esigenze di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica», ha portato al risultato di «ricondurre il ricercato, libero, lì dove avrebbe potuto continuare a perpetrare condotte criminose analoghe a quelle di cui era già accusato. Ne consegue che l'atto amministrativo, per come motivato, risulta viziato da palese irrazionalità e, come tale, illegittimo».

I ministri e il sottosegretario, inoltre, «erano perfettamente consapevoli del contenuto delle richieste di cooperazione inviate dalla Cpi e, in particolare, del mandato di arresto spiccato nei confronti dell'Almasri. Non dando corso a tali richieste il primo, decretando il secondo la formale espulsione del ricercato con un provvedimento viziato da palese irrazionalità e disponendo il terzo l'impiego di un volo Cai che ne ha assicurato l'immediato rientro in patria, hanno scientemente e volontariamente aiutato il predetto a sottrarsi alle ricerche e alle investigazioni della Cpi».

Queste i reati contestati, con aggravanti, ai tre esponenti del governo: omissione di atti di ufficio per il ministro della Giustizia Carlo Nordio, concorso in favoreggiamento per i ministri Matteo Piantedosi e Nordio e per il sottosegretario Alfredo Mantovano, concorso in peculato per Piantedosi e Mantovano.

Nello specifico, il ministro Nordio è accusato dai giudici di omissione di atti di ufficio per aver, nella qualità di ministro della Giustizia, indebitamente rifiutato di dar corso alle richieste urgenti di cooperazione rivolte all'Italia dalla Corte Penale Internazionale sulla richiesta di arresto provvisorio e consegna a carico di Osama Almasri Njeem. Tra l'altro, non rispondendo neppure alle plurime richieste inoltrategli da funzionari della Cpi, che sollecitavano consultazioni, per l'esecuzione della richiesta di perquisizione e sequestro a carico di Almasri di qualsiasi materiale utile alle indagini – tra cui dispositivi di memorizzazione elettronici o magnetici nonché smart card e telefoni cellulari, mobili o satellitari e di trasmissione il più rapidamente possibile - e all'esito di tali operazioni, delle prove acquisite.

Inoltre Nordio, Piantedosi e Mantovano sono accusati di favoreggiamento: Nordio assumendo un contegno attendista - in merito alla decisione della Corte d'Appello - rimanendo inerte in attesa di tale decisione e convenendo inoltre, in accordo con gli altri vertici istituzionali, sull'opportunità di espellere l'Almasri, qualora fosse stato scarcerato. Quindi non attivandosi, neppure dopo aver avuto comunicazione del provvedimento di scarcerazione, per dare corso alle richieste di cooperazione della Cpi.

Piantedosi e Mantovano sono accusati dello stesso reato concordando l'emissione del decreto di espulsione ed il successivo trasferimento in Libia mediante volo Cai, eseguito subito dopo la scarcerazione, aiutando Almasri ad eludere le investigazioni della Corte Penale Internazionale e a sottrarsi alle ricerche della Corte stessa. Con l'aggravante di aver agito, abusando dei poteri e con violazione dei doveri inerenti alla pubblica funzione rivestita.

Infine Piantedosi e Mantovano sono accusati di peculato perché, in concorso tra loro, distraevano per un uso momentaneo l'aereo della Cai e si appropriavano del carburante necessario per l'esecuzione dei voli da Roma Torino, Torino - Tripoli e Tripoli - Roma, disposti non per reali esigenze di sicurezza ma al solo scopo di aiutare Almasri a sottrarsi al mandato della Cpi.

Chiesta invece l’archiviazione per Giorgia Meloni, a cui però si oppone l’avvocata  Angela Maria Bitonti, legale di una donna ivoriana vittima delle torture del generale libico. «Presenteremo un esposto alla Procura di Roma», annuncia.

Stessa richiesta arriva dall’avvocato Francesco Romero, legale di Lam Magoz, altra vittima delle torture di Almasri: «Le parole con cui Meloni ha rivendicato una scelta concordata con i ministri del suo governo sulla vicenda Almasri sono una confessione delle proprie responsabilità. La Procura riapra le indagini di fronte a un elemento di novità come questo», afferma.

«In questa vicenda ci sono reati che sono perseguibili di ufficio - aggiunge - Un'archiviazione non è un provvedimento definitivo, può sempre essere rimessa in discussione se intervengono elementi di novità come in questo caso. Se Meloni è convinta di aver fatto tutto bene, allora lei e i ministri possono affrontare serenamente il processo, senza nascondersi dietro l'immunità».

(Unioneonline)

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