Al via i test sierologici: a cosa servono e perché potremmo usarli meglio
In Italia regna il caos tra Stato, Regioni e privati. Eppure possono essere un ottimo strumento anche per diagnosticare, non solo per indagini epidemiologicheOggi cominciano le telefonate di Istat e Inail per il campione di cittadini chiamato, su base volontaria, ad effettuare i test sierologici per rilevare gli anticorpi al Covid-19. Parliamo dei 150mila della Abbott Diagnostics, con cui il governo condurrà un’indagine epidemiologica su una fetta forse troppo piccola della popolazione italiana, appena lo 0,25%.
I test sierologici consentono di capire se una persona ha sviluppato gli anticorpi ed è dunque venuta a contatto con il Sars CoV2.
I DUE TIPI DI TEST - Sono di due tipi, è bene fare chiarezza sulle differenze. Quelli con prelievo ematico, come quelli della Abbott, riescono a rilevare i due diversi tipi di anticorpi: gli Igm, che si sviluppano nella fase iniziale dell’infezione, gli Igg, che sono generalmente quelli "responsabili" della protezione a lungo termine. Se sono stati sviluppati anche i secondi, è ragionevole pensare che la malattia sia stata superata, anche se si potrebbe ancora essere positivi e dunque contagiosi. Per questo i positivi vanno poi testati con il tampone.
I pungidito sono invece test sierologici meno accurati, seppur con una percentuale di attendibilità del 95% circa, in caso di positività. Funzionano in maniera simile a un test di gravidanza, con una sola goccia di sangue ci dicono solo se siamo positivi o negativi ai due tipi di anticorpi, ma senza specificare - a differenza dei primi - in che quantità li abbiamo sviluppati. Tuttavia hanno due vantaggi rispetto ai test con prelievo: costano dieci volte di meno (3 o 4 euro a kit) e danno i risultati in 10-15 minuti, a differenza degli altri che hanno bisogno di 24 o 48 ore per essere mandati in laboratorio e analizzati.
Entrambi i tipi di test sono falsati se l’infezione è recentissima, proprio perché non si sono ancora sviluppati gli anticorpi.
CAOS ALL’ITALIANA - In Italia c’è una gran confusione per via della sovrapposizione di competenze, manca una strategia chiara e univoca. Manca una regia, come abbiamo notato più volte dall’inizio della pandemia. E le colpe sono un po' di tutti: del governo, ma anche del protagonismo di alcune Regioni e della riforma del Titolo V che ha assegnato loro potestà quasi esclusiva sulla sanità.
In breve. Lo Stato ha comprato i suoi test per condurre l’indagine epidemiologica. Le Regioni procedono in ordine sparso: alcune utilizzano i test con prelievo (la Lombardia), la maggior parte si affida ai pungidito per testare particolari categorie (operatori sanitari, personale di Polizia, dipendenti pubblici che tornano al lavoro).
Poi ci sono i privati cittadini che li fanno a pagamento per conoscere la loro situazione, e i comuni o le aziende che li acquistano per testare i propri dipendenti. Lo ha fatto Beppe Sala per testare il personale Atm. Il primo cittadino milanese si è dovuto scontrare con l’ostracismo della Regione e i test sui dipendenti dell’azienda di trasporti meneghina li fa analizzare in laboratori francesi.
Già, perché la Regione Lombardia, con i suoi 15mila morti e 85mila casi, è stata l’ultima a fare chiarezza sui test sierologici privati. E con la delibera della scorsa settimana si è praticamente disinteressata dei potenziali infetti. Se risulti positivo al test che hai fatto a pagamento da un privato, ti metti in quarantena 14 giorni e il tampone lo devi fare a pagamento. Cittadini completamente abbandonati
Ieri, dopo le polemiche, il governatore Fontana ha detto che "in caso di positività al test e al tampone a pagamento i cittadini saranno rimborsati". Una correzione molto parziale, perché se il test a pagamento è accettabile, il tampone no. Dovrebbe essere interesse della Regione testare i potenziali infetti per contenere l'epidemia.
A partire da mercoledì migliaia di persone si sono recate nei vari centri per fare i test a pagamento, chiaro segnale che la popolazione lombarda ha bisogno di risposte che i pochi tamponi non riescono a fornire.
STRUMENTI DIAGNOSTICI O METODI D’INDAGINE? - Fontana e l’assessore al Welfare Giulio Gallera hanno anche sconsigliato di effettuare i test perché “non hanno funzione diagnostica ma servono solo per un’indagine epidemiologica”. Assunto che la Regione condivide con l’Istituto superiore di sanità, e non è un caso se i test sierologici del governo a due settimane dall’inizio della fase 2 e mentre si torna a una vita quasi normale – con bar, ristoranti, negozi, parrucchieri aperti e senza limiti di movimento all’interno della Regione di residenza – ancora devono iniziare.
Eppure, posto che non possiamo fare tamponi a tutti, proprio grazie all’incrocio dei tamponi con i test sierologici possiamo diagnosticare la malattia ai positivi e isolarli tempestivamente: è la tesi del professor Massimo Galli, virologo del Sacco di Milano, che non è l’unico a spingere per effettuare più test possibili, soprattutto con l'avvio della fase 2.
Con i test "scremiamo" le persone che sono state a contatto con l’infezione, poi interviene il tampone per verificare se sono ancora contagiose. Così ha fatto Zaia in Veneto per alcune categorie, così il Lazio è riuscito a diagnosticare dei casi di coronavirus recentemente. De Luca li sta utilizzando su chi scende in Campania dal Nord, e sottoporrà a test sierologico tutta la popolazione di Letino (600 abitanti), comune diventato zona rossa dopo 13 casi in pochi giorni. Non lo farà per compiere un’analisi epidemiologica, ma per rilevare i casi di positività.
La Lombardia, a costi molto contenuti per il bilancio regionale, potrebbe testare tutta la sua popolazione con i pungidito e avviarsi alla fase 2 con meno rischi e una conoscenza della situazione epidemiologica molto più chiara. Ne avrebbe bisogno, visti i numeri che ne fanno una delle zone più martoriate del mondo intero. Massimo Galli ha definito "assurdo ai limiti dell’ingiustificabile" l’atteggiamento della Regione sui test rapidi.