È il 15 febbraio del 1977 quando, tre mesi prima del suo ventisettesimo compleanno, Renato Vallanzasca viene rintracciato e catturato nel rifugio di via Venusio a Roma.

Sono le 7,15 del mattino: il boss della Comasina si arrende dopo una lunga trattativa, tra minacce di esplosioni di bombe e rassicurazioni.

Così hanno fine i 200 giorni di libertà del bandito, che era scappato dall’ospedale Bassi di Dergano dove era stato trasferito dal carcere di San Vittore per curare un’epatite che si era procurato da solo, iniettandosi urina e sangue di compagni già infetti, ingurgitando uova marce e inalando gas propano.

Renato Vallanzasca (Ansa)
Renato Vallanzasca (Ansa)
Renato Vallanzasca (Ansa)

Durante la latitanza, Vallanzasca era riuscito a ricostituire la sua banda, mettendo a segno una settantina di rapine a mano armata uccidendo, tra l'altro, quattro poliziotti, un medico e un impiegato di banca. Dalle rapine era passato presto ai sequestri di persona. Come quello di Emanuela Trapani, figlia di un imprenditore milanese, segregata e poi liberata dietro il pagamento di un riscatto di un miliardo di lire.

Vallanzasca, che oggi ha 73 anni e sta scontando quattro ergastoli e 295 anni per omicidi e rapine, ha trascorso cinquant’anni in carcere e tuttora è detenuto a Bollate. 

Pochi mesi fa, a maggio 2023, il Tribunale di Sorveglianza di Milano ha respinto la richiesta dei difensori di differimento pena, con detenzione domiciliare in una struttura adatta, per motivi di salute. Il bel Renè, per il momento, dovrà restare in carcere.

(Unioneonline)

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