Sono trentamila i sardi che rischiano, nel giro di qualche settimana, di perdere il medico di famiglia dopo la mole di pensionamenti di camici bianchi. Un vuoto nell’assistenza sanitaria che nell’Isola fa sentire le sue conseguenze per migliaia di persone. Quello che succede ora è che i dottori in questione (almeno trenta, ha fatto i conti la Fimmg) sono i giovani specializzandi che hanno risposto al bando della Regione e hanno accettato di lavorare nei paesi dell'interno, garantendo l'assistenza del servizio sanitario pubblico in quelle sedi disagiate dove nessuno vuole andare.

Hanno in carico ognuno mille pazienti, in territori dove l'ospedale più vicino è a decine di chilometri e dove è più alta la rinuncia alle cure. Il problema? È legato all'organizzazione del corso di specializzazione in medicina generale che alle ore di lezione affianca la formazione sul campo, in ospedale e nell'ambulatorio di un tutor medico di base. Andava così prima dell'ondata di pensionamenti che ha lasciato scoperte molte sedi, tanto che un paio di anni fa il Ministero ha reclutato i giovani medici specializzandi garantendo loro la possibilità di conciliare la scuola con l'assistenza ai pazienti. Da quest'anno, però, in Sardegna si è tornati all'antico, e – per gli specializzandi che hanno risposto al bando per le sedi scoperte –, al carico di lavoro in ambulatorio, visite a domicilio, ricette e disbrigo di documenti, si aggiungono le lezioni a scuola e il tirocinio.

«È umanamente impossibile far fronte a tutto», avverte Umberto Nevisco, segretario della Fimmg, la federazione dei medici di medicina generale. «Se l'assessore non interviene al più presto, questi giovani colleghi saranno costretti a rinunciare ai loro pazienti». D'un colpo trentamila sardi perderanno il medico, ha fatto i conti il sindacato.

Piera Serusi

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