I tornanti impolverati si sono fermati. Le ruote dell’infinita carovana dei veleni hanno smesso di girare. Brulica solo il termometro, a ridosso dell’ultimo miglio sfonda il muro dei quaranta gradi cocenti sotto il sole a picco. Il cartello segna «Miniera di Barega», antico giacimento di barite incastonato tra le rocce metallifere dell’Iglesiente. In realtà, la svolta sulla strada che collega Villamassargia con Carbonia, è verso la collina dei veleni, quella di Serra Scirieddus. Il silenzio, ora, da giorni, domina il confine tra le miniere di carbone e quelle metallifere.

Crocevia dei veleni

E’ il punto d’incontro tra Gonnesa e Carbonia, il crocevia dei veleni di mezza Italia. I giganti della strada hanno lasciato il passo. I tir “stranieri”, che per tre anni hanno calcato la polvere di quel tracciato minerario, dopo aver prima percorso in lungo e in largo il nord e il sud d’Italia, solcando il Tirreno, si sono fermati. Il viavai quotidiano, insistente e ciclopico, si è arreso all’incedere dell’ingiunzione senza appello: fermi tutti. Il primo preannuncio è di due settimane fa. Nessuno lo aveva smentito, vista la nota della Riverso che aveva prevenuto la fila indiana di camion che dalla Lombardia al Veneto, dalla Campania al Lazio, ogni settimana si riversavano sulla via sarda dei rifiuti. Ora tutto si tocca con lo sguardo, con quella collina carica di veleni inanimata come non mai. Chiusa.

Intrigo assicurativo

Se non ci fosse di mezzo un intrigo assicurativo degno delle migliori spy story internazionali si potrebbe pensare ad una fuga da «day after». In realtà, in quella distesa grigia di veleni sotterrati per l’eternità, in quel compluvio tra il vecchio villaggio minerario Asproni e la miniera di barite, sono spariti tutti. Niente più tir, niente più lavoratori, dileguati dentro un garage ruspe e escavatori. Guai muovere uno spillo. L’unico mezzo che si aggira per quel carico di veleni è una cisterna-innaffiatoio. Le disposizioni impongono di bagnare senza tregua quella polvere sottile, che non si ferma d’inverno, figuriamoci a ridosso d’agosto.

Eccoci chiusi

Quando la macchina circospetta osserva dall’alto lo scandire del silenzio, spuntano, appostati come le vedette dietro le persiane nei paesi degli “affari degli altri”, i guardiani del deserto dei veleni. Lo sguardo è fugace, ma emblematico. Il messaggio è esplicito: ci volevate chiusi, eccoci chiusi. In realtà non è arduo spiegare le cause di quel fermo, che non dipendono, ovviamente, dalle volontà dei “cattivi detrattori” di quel cumulo di veleni, tra falde acquifere e corsi d’acqua.

Riempita con il turbo

La discarica della Riverso, società in capo alla Asset Management, compagine di diretta emanazione dei Colucci, è chiusa perché non ha più l’assicurazione. E quando ce l’aveva non valeva praticamente niente, visto che si trattava di un garante bulgaro dileguatosi gambe all’aria quasi fosse un neofita cacciatore straniero in terra d’Armungia inseguito dal “Cinghiale del diavolo”, indispettito, nelle gole profonde di Monte Cardiga.

Fuga assicurativa

Fuga con tanto di certificato dell’Autorità di vigilanza bulgara che ha revocato, senza mezze misure, l’autorizzazione all’esercizio dell’attività assicurativa nei confronti di Insurance Company Nadejda, assicurazione bulgara, abilitata ad operare in Italia in regime di libera prestazione di servizi proprio nell’ambito della “cauzione”. Proprio il caso della «cauzione» della Riverso che, per sottoscrivere l’ultima polizza fideiussoria, necessaria a garantire la chiusura regolare della discarica e il suo monitoraggio per i prossimi trent’anni, si era catapultata nella terra delle assicurazioni meno credibili del mondo. Tutto preannunciato con largo anticipo, ma nonostante questo la Colucci family c’è andata giù pesante. L’ordine era chiaro: riempire la discarica all’inverosimile, come se non ci dovesse essere un domani.

Patrimonio più 1.500%

I “dollari” hanno cominciato a roteare vorticosamente nelle palle degli occhi. Incrementi nei bilanci degni di una scalata in borsa, con utili cresciuti tra il 2019 e il 2020 del 237%. Un patrimonio netto schizzato a un più 1.518% dal 2018 al 2019 e a un più 434% tra il 2019 e il 2020. Un “incasso” da mille e una notte incamerato grazie alla svolta dei rifiuti extraregionali, quelli spediti a Carbonia senza limiti dalle altre regioni italiane. Per uno “strano” incastro temporale l’esaurimento della discarica stava per coincidere con la scadenza dell’assicurazione Nadejda, che seppur saltata per aria, continuava a figurare come «copertura» negli uffici della Provincia del Sud Sardegna, deputata al controllo e all’autorizzazione dell’esercizio della collina dei veleni.

Saltato il banco

Il sincronismo tra la fine della discarica e la cessazione della fideiussione, però, non è andato in porto. La discarica ha ancora un margine di riempimento e non esiste assicurazione all’orizzonte. Ad oggi, nonostante il vortice di affari, nessuno vuole avvallare quell’operazione con una fideiussione di ben 16 milioni di euro, necessaria per “sigillare” teoricamente quella discarica e garantire un minino di controllo per i prossimi tre decenni.

Nessuno rischia

Dai riscontri nel mercato delle garanzie emerge un dato inequivocabile: non ci sono assicurazioni italiane disponibili a sottoscrivere le fideiussioni, ma anche quelle straniere, da Malta ai paesi dell’Est, questa volta non si sono mostrate magnanime. Non foss’altro perché su quella discarica non solo pesa il suo prossimo esaurimento, ma soprattutto perché in ballo c’è una revocatoria ipotizzata dai giudici di Roma nell’ambito del fallimento della Daneco, la precedente capogruppo, sempre della famiglia Colucci, dichiarata fallita a maggio e responsabile di aver venduto la discarica poco prima del concordato fallimentare.

Discarica vietata

Dunque, la situazione era prevedibile: la discarica ora è chiusa a tutti gli effetti. Una bomba ecologica piazzata in mezzo alle montagne senza alcuna protezione, e soprattutto senza alcuna assicurazione. Una situazione che appare un vero e proprio capolavoro finanziario e gestionale: la Riverso, infatti, se non troverà l’assicurazione, avrà guadagnato comunque un fiume di denari esaurendo o quasi la discarica in meno di tre anni e dall’altra non dovrà sopportare il carico finanziario di una polizza che nessuno vuole sottoscrivere. Insomma, guadagni milionari e risparmi evidenti per la mancata sottoscrizione di una nuova polizza.

Paga la Provincia

Spetterà ai funzionari della Provincia, sono loro che hanno accettato l’assicurazione bulgara Nadejda, far chiarezza sulla vicenda chiedendo ai curatori fallimentari dell’Est di pagare il riscatto della polizza. Se, come è possibile, nessuno pagherà per quella fideiussione è evidente che la Provincia resterà con il cerino in mano, con una discarica senza più copertura assicurativa ma con tutti i lavori di messa in sicurezza e monitoraggio da eseguire. Tutti oneri che finiranno per gravare sui conti pubblici e, quindi, sulle tasche dei cittadini.

Lavoratori “usati”

Lo stesso accadrà per i lavoratori della Riverso: hanno cercato in ogni modo di “difendere” la società, ma non si sono accorti che l’obiettivo era quello di esaurire la discarica in meno di due/tre anni, dal 2018 al 2021. Missione che si è sostanzialmente compiuta, con un risultato evidente, lasciare a casa i lavoratori molti anni prima dell’ipotesi iniziale di esaurimento della discarica, “riempita”, all’inverosimile, di rifiuti pericolosi e veleni “continentali”.

Il mistero dei saldi

Resta un mistero: per quale motivo Riverso ha voluto abbassare i costi di smaltimento a tal punto da far arrivare rifiuti da tutta Italia? Un dato è certo: quella montagna di rifiuti pericolosi provenienti d’oltre Tirreno non solo ha riempito le tasche della famiglia Colucci ma ha pesantemente indebolito la concorrenza delle discariche in Sardegna. Difficoltà economiche conseguenti che potrebbero scatenare una vera e propria guerra per l’acquisizione di nuove discariche. Un vortice di affari con tanto di documenti di offerte d’acquisto di nuovi siti vergati con cifre e rate di pagamento. Documenti circostanziati che sono più di una prova del grande vortice d’affari che scorre sotto i veleni di Serra Scirieddus. Il deserto di rifiuti pericolosi è grigio, la temperatura è alle stelle.

Mauro Pili

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