«Il Piano Sulcis un flop? Sì, ma solo a metà»
In dieci anni speso un quarto delle somme pubbliche stanziate per rilanciare l’economia in forte crisiPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
«Il Piano Sulcis un flop? C’è un elemento di verità ma non se si allude a contenuti e obiettivi». Tore Cherchi, ex senatore, ex deputato, ex presidente della Provincia sulcitana ed ex sindaco di Carbonia, è considerato il papà del Piano milionario che avrebbe dovuto curare una terra ammalata di fame e disoccupazione. Siglato nel novembre del 2012, il Piano da 1.243 milioni, di cui 805,2 pubblici, avrebbe dovuto produrre oltre 4.500 buste paga in una provincia in cui al momento della firma il 14,9% della popolazione era disoccupato (il dato ha superato il 20% negli anni successivi). Cherchi è stato a capo dell’ufficio di coordinamento del Piano poi soppresso nel 2019 dalla Giunta regionale che, nel giugno 2020, ha trasmesso le competenze all’assessorato all’Industria. «Dire che sono il papà del Piano Sulcis mi inorgoglirebbe, ma non sarebbe esatto. Il Piano è nato dalla concertazione tra Governo, Regione, Provincia e Comuni ed è figlio del piano strategico per il Sulcis realizzato dalla Provincia».
Torniamo all’idea del flop.
«È un dato di fatto che le risorse non sono entrate nel sistema, solo il 20% è stato pagato. Quindi da questo punto di vista non posso che essere d’accordo. Ma noi ci siamo fermati al 2018, poi ci sono stati altri tre anni in cui sarebbe stato sufficiente pubblicare i bandi che erano già pronti. Le risorse ci sono. Non è stato fatto».
Anche voi sui bandi avete faticato.
«Certo, perché la macchina doveva essere messa a regime. Ci sono state 294 imprese che hanno partecipato ai bandi e di queste circa 100 hanno superato l’istruttoria. Al bando T4, per esempio, 8 imprese su 20 sono state ammesse e hanno prodotto circa 135 posti di lavoro».
Cosa ha lasciato nel 2019?
«Per le imprese una macchina rodata, uno sportello dedicato aperto a Monteponi. Ora l’ufficio è chiuso e i soldi sono fermi. Questa è la cosa che mi fa arrabbiare di più».
I contratti di sviluppo per le industrie non sono decollati.
«Serve capire cosa vuole il territorio. Ricordo la tensione nel giorno della firma del protocollo. Si protestava per riaprire e ora si protesta per non riaprire».
Cosa intende?
«Il progetto di Eurallumina è pronto da tempo, ma sono ancora fermi con le autorizzazioni ambientali. Sider Alloys le ha avute solo due mesi fa, mentre Renovo sarebbe già dovuto partire, tra l’altro rispetto agli altri è quello che ha avuto incentivi più vantaggiosi visto che su 25 milioni, 8 sono a fondo perduto».
Le autorizzazioni degli uffici e le proteste sono cose diverse.
«A volte si intrecciano».
Cosa non ha funzionato?
«Una delle cose che ho imparato è la questione dei poteri: non puoi limitarti a coordinare, devi avere gli strumenti per agire».
Se l’avessero fatta commissario anziché coordinatore sarebbe stato diverso?
«Sì, con un commissario sarebbe stato diverso, non dovevo per forza essere io».
Da qui i ritardi?
«Per il polo industriale il punto di inciampo è stato nelle autorizzazioni. Vorrei ricordare però che all’ammodernamento del polo industriale è destinato solo il 20% del Piano. Il restante 80% si riferisce ad altro».
Infrastrutture: il ponte di Sant’Antioco non si farà. Lei era favorevole o contrario?
«Assolutamente favorevole».
Ma tutti i sindaci lo hanno bocciato.
«Il Consiglio comunale di Sant’Antioco lo voleva, poi ha cambiato idea. Cosa legittima, per altro».
Un’opera da 58 milioni di euro.
«Quando il progetto è stato bloccato l’appalto era già affidato. Per carità, tutto si può fare. Torniamo al problema di fondo: ci sono 58 milioni di euro fermi, a meno che non li abbiano revocati. Ma questo io non lo so».
Per la zona franca avete erogato il 50% delle risorse.
«È una misura che ha aiutato 3.600 piccole e medie imprese. Ci sono ancora 29 milioni di euro fermi. Serve un emendamento del Governo per sbloccarli, non so se la Regione o qualche parlamentare abbia sollecitato».
Il piano è lievitato: 450 milioni nel 2012 e 805,2 nel 2019. Perché?
«Era concepito come un piano in divenire con indirizzi e obiettivi che non avevano una copertura finanziaria. Una serie di finanziamenti sono venuti dopo la firma».
Dia un voto ai soggetti coinvolti.
«Non giudico, ma se devo farlo inizio da me».
Prego.
«Giudizio negativo, perché ho peccato di ingenuità pensando che con procedure ordinarie e attività di coordinamento si potesse ottenere il risultato massimo. In questo modello il mio parere ha pesato: pensavo che “presto e bene” fosse un risultato conseguibile».
Regione Sardegna?
«La Regione, come macchina amministrativa, indipendentemente dal colore politico di chi la amministra e dalle tante professionalità che ci lavorano, ha scarso orientamento al risultato. La cultura del risultato è debole, a voler essere benevolo».
Perché?
«Perché se non raggiungi un obiettivo in un anno e te ne servono tre è la stessa cosa. Ma qui dovrebbe innestarsi la direzione politica: quando una cosa non funziona, si cambia. Il Piano Sulcis è un’esperienza che andrebbe meditata».
Un voto per l’Anas?
«Se lo autoassegnino. So che gli appalti sono stati fatti al 31 dicembre 2016 e a oggi non è stato aperto un cantiere. Ma non è una novità, funziona sempre così perché il Governo lo consente».
Enas?
«Il lavoro lo hanno fatto. Un bel progetto per collegare il Sulcis al sistema idrico del Flumendosa. Nel 2020 gli uffici hanno trasmesso la pratica al Ministero per la valutazione di impatto ambientale ma i documenti sono rimasti in qualche cassetto romano. Avrebbero dovuto rispondere in sei mesi ed è passato un anno e mezzo».
I Comuni?
«Il giudizio è differenziato. Efficienti, anche se a parità di progetti c’è stato chi ha portato a termine la procedura e chi, come Iglesias, ha perso finanziamenti per 700mila euro perché non ha rispettato le scadenze».
La Provincia?
«Positivo fin che è durata, come altro può essere? La Provincia ha ideato il Piano e avrebbe dovuto gestirlo. Poi uno si chiede cosa è successo».
Cosa è successo?
«La Regione sarda vive in un regime incostituzionale, si sta profittando dell’autonomia speciale per realizzare il commissariamento di tutti i territori».
A che punto sono le bonifiche?
«Dipende: quelle private sono state avviate secondo il principio sacrosanto del “chi inquina paga”. Dei cantieri finanziati con il bilancio pubblico, invece, non ce n’è neppure uno aperto. Alla Regione se la cantano e se la suonano, ma hanno 160 milioni disponibili e non fanno nulla».
Mariella Careddu
Marco Noce
(2 - continua)