C’erano le esercitazioni (e le bonifiche) nel poligono di Capo Teulada. Loro affittano gommoni e natanti ai turisti e non hanno potuto lavorare, perché grandi specchi di mare erano interdetti. Hanno chiesto un indennizzo al ministero della Difesa, che gliel’aveva negato.  Per i giudici del Tar della Sardegna era «pacifico» che avessero ragione: le ordinanze di sgombero, era stato deciso nel 2018, avevano danneggiato il business della Teulada Charter Snc. L’acqua interdetta impediva le uscite in mare, fatte da turisti spesso in esperti. Quindi era legittima la richiesta dei quattro soci, che con una perizia avevano stimato in 20 mila euro l’ammontare del risarcimento. Ma quando si ha a che fare con i militari, per definizione, non bisogna dare per scontato che tutto sia «pacifico». 

Non lo è nemmeno in questo caso. Perché è arrivata una sentenza del Consiglio di Stato a negare agli imprenditori quello che pensavano essere un diritto acquisito per sentenza: il verdetto d’appello, arrivato dopo l’impugnazione della Difesa,  ha stabilito che la competenza sulla materia del contendere non è del giudice amministrativo, ma di quello ordinario.

Per Palazzo Spada vale il principio: a decidere sugli indennizzi, anche legati ad atti delle pubbliche amministrazioni, è sempre il Tribunale ordinario. Il Consiglio di Stato si sbilancia anche su una lettura della vicenda, lasciando intendere che l’attività di noleggio dei gommoni potrebbe non essere assimilata  a quella dei pescatori, legittimati a ricevere gli indennizzi (quelli veri, almeno) a causa del fermo pesca mentre a Teulada si spara. 

Intanto, la sentenza «pacifica» di primo grado è stata annullata. E tutta la causa, intentata per danni subiti nel 2015, deve ripartire da zero davanti a un altro Tribunale. Otto anni dopo. 

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